IL MISTERO DI ROMA
CAPO XXVI
I DISSIDENTI ALLA RICERCA DELL'UNITA'
1. - In questi ultimi tempi sotto la pressione d'un materialismo ateo, sorretto e propagato da potenze politiche ed organizzazioni internazionali, protese a distruggere qualunque credenza e sentimento religioso, tutti questi nostri fratelli cristiani separati hanno inteso di fronte al pericolo, la loro grande debolezza proveniente dalla mancanza di unità.
A portare un rimedio a questa grave deficienza organica in tutti questi gruppi di cristianità divise, è sorto un movimento per arrivare ad una unione che formasse un fronte unico contro il comune nemico, e creasse una comunione di vita e di vicendevoli aiuti. Il movimento già iniziato nel secolo passato si è accentuato ed allargato nel nostro secolo. Sono state celebrate molte adunanze appellate con nomi differenti, pancristiane, mondiali, ecumeniche ecc.
Nel mondo attualmente, tra grandi e piccole si contano circa duecento chiese dissidenti. Orbene per un incontro conciliare di tutte queste chiese fu posto come base l'eguaglianza di tutte dinanzi al problema dell'unione; e ciò sotto un triplice aspetto. Psicologico: tutte le chiese devono riconoscersi ugualmente colpevoli della divisione. Storico: nessuna chiesa può credersi la chiesa unica e totale di Cristo, ma solo una parte di essa, e di conseguenza nessuna può arrogarsi il diritto di pretendere la sottomissione delle altre ad essa. Escatologico: la Chiesa futura risultante dall'unione non potrà essere identica a nessuna delle chiese preesistenti. La Chiesa unica, universale che dovrà sorgere da questa nuova Pentecoste, dovrà sorpassare ugualmente tutte le singole confessioni cristiane. Appare evidente come tali basi sono in diretta opposizione alla Chiesa Cattolica.
2. - La prima grande adunanza delle chiese protestanti ed anglicane nel nostro secolo fu tenuta nel 1910 ad Edimburgo in Scozia, e fu classificata come movimento ecumenico. Ma presto però si manifestarono due tendenze per giungere all'unione. Una su la base dell'Azione e Vita (Work and Life), l'altra sulla base della Fede e Gerarchia (Faith and Order). Sotto il maggiore o il minore influsso dell'una o l'altra tendenza furono celebrati concilii mondiali nel 1925 a Stoccolma, ove intervenne una larga rappresentanza anche delle chiese ortodosse; nel 1927 a Losanna; nel 1937 a Oxford.
Nel 1915 Charles Brent, uno dei grandi pionieri del movimento per l'unione, si presentò al Papa Benedetto XV, che lo accolse molto affabilmente, ma non acconsentì all'invito di far partecipare la Chiesa Cattolica a conferenze e riunioni, ove essa si sarebbe trovata nello stesso piano delle altre chiese. Così fece anche Pio XII, quando gli fu rivolto l'invito per la partecipazione della Chiesa Cattolica al Consiglio Ecumenico delle Chiese tenuto si ad Evanston (Chicago) nel 1954.
La Chiesa Cattolica è costretta a rifiutare d'intervenire a simili riunioni per un atto di coerenza verso sé stessa, e per un atto di onestà verso gli acattolici. Parteciparvi sarebbe un tradimento della propria coscienza, che possiede la certezza assoluta di essere l'unica vera Chiesa fondata da Cristo sulla roccia di Pietro. E sarebbe un atto disonesto verso i fratelli separati, perché dovrebbe fingere di cercare con loro, ciò che non potrebbe mai trovare, perché già lo possiede. Come pure la Chiesa Cattolica non può acconsentire ad un così detto filetismo od irenismo, cioè ad una unione di chiese sorelle indipendenti tra di loro, e solo unite da alcune verità fondamentali comunemente professate, da un riconoscimento canonico vicendevole, e da rapporti di carità. L'unità deve risultare dall'unità dei cristiani, non dall'unità delle chiese a modo di federazione.
3. - Nel 1948 in Amsterdam si istituì il così detto Consiglio Ecumenico delle Chiese. Non si pretese di costituire una supra-Chiesa, né di sostituirsi a tutte le altre chiese, le quali conservano piena autonomia e possono prendere decisioni in proprio nome. Si volle solo creare un ambiente di riunione, ove tutte le chiese, coscienti del peccato e dello scandalo della loro divisione, potessero incontrarsi con mutuo rispetto per cercare e comporre sotto l'azione dello Spirito Santo, l'unità visibile della Chiesa di Cristo. Per questo incontro si stabilì di tenere una assemblea universale, ogni sei anni, di tutte le chiese.
Aprì la serie l'assemblea di Amsterdam, che prese per tema: «Il disordine dell'uomo ed i disegni di Dio». La seconda si tenne nel 1954 ad Evanston (Chicago), che prese per argomento: «Cristo speranza del mondo». La terza assemblea è stata celebrata a Nuova-Delhi in India dal 18 novembre al 5 dicembre del 1960. È stata la più imponente con duemila partecipanti e 198 chiese rappresentate, tra le quali si contavano anche le chiese ortodosse, e tra queste la chiesa russa con cospicua rappresentanza. In questa assemblea fu stabilito, che per essere ammessi come membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese, era necessario avere circa la fede, come minimo, una base comune. E questa base fu formulata con le seguenti parole: «Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è una associazione fraterna delle chiese che confessano il Signor nostro Gesù Cristo, come Dio e Salvatore, secondo le Scritture; e si sforzano di rispondere uniti alla comune vocazione per la gloria d'un solo Dio, Padre Figliolo e Spirito Santo». Questa base fu accettata a grande maggioranza, ma anche respinta da un buon numero di delegati. Si credette così di aver fatto un primo passo verso l'unità.
Quando si venne a chiarire la natura di questa unità, fu proposta questa formula: «Crediamo che l'unità si attua, quando tutti i battezzati in Gesù Cristo confessano la stessa fede apostolica, predicano lo stesso Evangelo, partecipano allo stesso pane e si riuniscono nella comune preghiera». La discussione che si svolse intorno a questa formula, mise in luce il profondo fossato che divideva tra loro le singole chiese. Infatti grandi discrepanze si manifestarono per fissare un minimo di unità di fede; discrepanze nel chiarire la natura del pane, che per gli ortodossi è reale partecipazione al Corpo e Sangue di Cristo, per i protestanti ed anglicani è semplice pane come simbolo e ricordo di Cristo; discrepanze nell'interpretazione del Vangelo.
4. - Ma oltre a queste gravi differenze dottrinali l'unità perseguita da queste chiese è resa irraggiungibile per la mancanza dell'elemento che imprime e garantisce l'unione a qualunque genere di società, ossia l'autorità suprema. In questi incontri delle chiese dissidenti, la Chiesa Cattolica, che per il numero dei suoi membri e la grandiosità e saldezza del suo organismo, supera al doppio tutte le altre chiese, anche prese insieme, quantunque assente, faceva sentire la sua presenza per il gran senso di vuoto della sua mancanza, e per la corrente di simpatia e di attrazione, che essa suscitava in larghe sfere dissidenti.
La presenza poi a Nuova Delhi di cinque cattolici, non come delegati partecipanti, ma come semplici osservatori autorizzati, costituì un fatto nuovo nella storia del movimento ecumenista. Questo gesto di Roma alla vigilia del Concilio Vaticano Il suscitò una viva compiacenza nell'assemblea. Il Segretario Generale nel suo discorso inaugurale pronunziò serene parole per precisare la posizione dell'Assemblea ecumenica di fronte alla Chiesa Romana con la quale, disse, si è realizzato un progresso nelle mutue relazioni, dal momento che in preparazione del Concilio Vaticano II è stato creato in esso un Segretariato per l'unità delle chiese dissidenti, col quale possiamo scambiare mutue informazioni di comune interesse. E parlando del Concilio Vaticano affermò: «Senza dubbio sarà di grande importanza per il cristianesimo, e per il mondo. Ambo i concilii, il nostro ed il Vaticano, non si riuniscono l'uno contro l'altro, e non mirano egoisticamente ad un proprio interesse, ma solamente mirano a servire Nostro Signor Gesù Cristo».
Anche la persona del Sommo Pontefice Giovanni XXIII esercitava un'influenza notevole in questo lavoro di avvicinamento. Il suo nome risuonò spesso nell'assemblea di Nuova-Delhi insieme al nome di Roma. È veramente commovente questo anelito sincero e ardente dei nostri fratelli separati per raggiungere quella unità, che tutti sentono necessaria imperativa, per uniformarsi al grave precetto di Cristo: «Fiat unum ovile et unus Pastor», e far cessare uno dei grandi scandali che ritardano la conversione a Cristo di più che la metà ancora degli uomini i quali, osservando le tante divisioni tra i cristiani, rivolgono ai molti differenti annunziatori del Vangelo la domanda: A quale Cristo dobbiamo credere? Mettetevi prima d'accordo tra di voi.
5. - Le chiese ortodosse sebbene abbiano preso parte a queste riunioni pancristiane ed assemblee ecumeniche, vi si sono però trovate a disagio per la grande distanza che le separano, sia dai protestanti che dagli anglicani. Per questo alcune di esse si sono astenute sempre dall'intervenire. Ma non è meno ardente la brama dell'unità tra tutte queste chiese ortodosse. Sospinte anche esse da questo nuovo soffio verso l'unità, dopo vari tentativi di avvicinamento, nell'ottobre 1961, si diedero convegno nell'isola di Rodi per celebrarvi un congresso panortodosso. Fu un fatto storicamente importante, che queste chiese, da molti secoli aliene le une dalle altre, arrivassero ad incontrarsi.
Ma fin dall'inizio sorse un acuto contrasto per designare la presidenza. I rappresentanti della chiesa russa, come di gran lunga la più numerosa ed importante su tutte le altre chiese dell'ortodossia, pretendevano che la presidenza fosse conferita all'arcivescovo di Rostof, Mons. Nicodemo, rappresentante del Patriarca di Mosca Alessio. Questa richiesta della chiesa russa si riallaccia alla pretesa manifestata dai suoi Patriarchi sin dalla caduta di Costantinopoli, che Mosca fosse considerata come la terza Roma, e quindi il suo vescovo fosse riconosciuto Patriarca ecumenico di tutta l'ortodossia. Considerati questi precedenti non possono sorprendere le pretese della Chiesa russa. Ma la maggioranza delle altre chiese ortodosse si mostrò contraria, e volle che fosse conservata la tradizionale preminenza del Patriarca di Costantinopoli.
In questa occasione si stabilì l'ordine di precedenza di tutte le chiese dell'ortodossia nel modo seguente: I Patriarcati di Costantinopoli, di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme, di Russia, di Jugoslavia, di Romania e di Bulgaria; i Metropoliti di Grecia e di Cipro; le chiese autocefale della Georgia, Polonia, Cecoslovacchia, Finlandia[1].
6. - Questa conferenza panortodossa di Rodi ha avuto grande importanza, in quanto metteva in campo l'idea dell'unità tra chiese da undici secoli separate l'una dall'altra. Però essa è stata solamente una riunione preparatoria per concretare il programma di un concilio, ove dovrebbero convenire le gerarchie supreme di tutta l'ortodossia. Questo ci spiega come non solo non era presente il Patriarca di Mosca, Mons. Alessio, ma neanche quello di Costantinopoli, Mons. Atenagora, che era rappresentato dal metropolita di Mira, Mons. Crisostomo. Non conosciamo gli argomenti discussi, perché le riunioni furono tenute a porte chiuse.
Sappiamo però che a Rodi, data la comunità di fede e di sacramenti tra cattolicesimo ed ortodossia, l'assenza di Roma produceva un senso penoso di vuoto, molto più grande e sentito, che a Nuova-Delhi. Quindi non fu una sorpresa l'atteggiamento incline verso Roma di Mons. Crisostomo, quale interprete autorizzato dei sentimenti dello stesso Patriarca di Costantinopoli. Ma la delegazione della chiesa russa dimostrò una decisa opposizione a qualunque avvicinamento a Roma. Non è però possibile sapere fino a che punto i delegati del Patriarca di Mosca rappresentassero la vera ortodossia della Santa Russia, o gli interessi del Kremlino comunista. A Rodi non si chiarì l'enigma della Chiesa Russa.
7. - La Chiesa Cattolica guarda con simpatia ed amorosa benevolenza questo commovimento di tante anime cristiane, che anelano a comporre quella divina strettissima unità, oggetto dell'ardente preghiera di Gesù nella vigilia della sua morte. Ed affinché si affretti l'avvento felice di questa bramata unità, la Chiesa Cattolica non cessa di pregare il Padre dei lumi, perché con la sua luce e la sua grazia conduca quei nostri separati fratelli sulla via di Roma, ai piedi della Cattedra di Pietro, perno e fulcro dell'unità cristiana.
Ma già si scorgono i primi moti al richiamo dell'unità. Gli sguardi si rivolgono verso Roma. È diffuso il sentimento tra i cristiani separati, che senza di Roma è impossibile giungere all'unità. Il teologo russo Florowsky membro attivissimo del Consiglio Mondiale delle Chiese ha detto: «Nessuna cooperazione ecumenica nessuna vera comunità cristiana nessuna vera unità di cristiani può essere realizzata, se Roma non vi è inclusa». L'annunzio del Concilio Ecumenico Vaticano II ha suscitato larghi consensi, o per lo meno vivissimo interesse non solo presso gli Ortodossi, ma anche presso i Protestanti. Questi atteggiamenti benevoli dei cristiani separati acquistano maggior risalto, se si confrontano con la freddezza degli uni e il disprezzo degli altri, con cui fu accolto l'invito di Pio IX in occasione del Concilio Vaticano I. Si costata un vero mutamento di clima.
Questo clima poi si è illuminato della luce d'una promettente aurora in occasione del pellegrinaggio straordinario del successore di Giovanni XXIII, Paolo VI nella terra santa di Palestina nel 4-6 Gennaio 1964.
Il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora intraprese anche egli il pellegrinaggio della Palestina per incontrarsi con Paolo VI, proprio in quei luoghi in cui, Cristo fondò la sua Chiesa e l'affidò a Pietro come a suo Vicario in terra.
Incontro di immensa portata storica, che fa sperare un termine definitivo del grande scisma delle chiese orientali, che dura da un millennio.
Questo pellegrinaggio di Paolo VI ha destato vivissimo interesse ed ammirazione in tutto il mondo credente e non credente. Le accoglienze poi calorose ed entusiaste fatte al Papa dalle autorità e dai popoli maomettano ed ebraico in Giordania ed Israele, stanno a dimostrare l'altissimo prestigio, che nel tempo presente gode il Pontefice Romano nel mondo.
8. - In questo clima rischiarato di luce e di speranze le chiese ortodosse nella prima quindicina di Novembre 1964 si davano convegno a Rodi per una terza conferenza panortodossa. Una seconda era stata tenuta l'anno precedente pure a Rodi, ed in essa non fu approvata l' apertura immediata d'un dialogo con Roma, ma soltanto prospettata l'eventualità di un tale dialogo.
In questa terza conferenza quasi tutte le chiese ortodosse risposero a l'appello del Patriarca di Costantinopoli. Infatti 14 delegazioni ufficiali furono presenti in rappresentanza dei Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Russia, Romania, Bulgaria, Serbia, delle chiese autocefale di Grecia, Cipro, Polonia, Cecoslovacchìa, Georgia, Finlandia.
Tre furono le lingue ufficiali adottate: la greca, la russa, l'araba.
Paolo VI fece pervenire alla conferenza di Rodi in qualità di Vescovo di Roma, una sua lettera assai cordiale, in cui esprimeva voti fraterni per il felice esito dei lavori. La lettera impressionò vivamente l' assemblea, la quale decise che fosse data una risposta altrettanto deferente e cortese al vescovo di Roma.
In questa conferenza fu dato un altro passo di avvicinamento con la decisione di arrivare ad un dialogo con Roma; ma non subito, ma dopo la chiusura del Concilio Vaticano II.
9. - Però se tutti più o meno furono d'accordo, che un dialogo era necessario, si manifestarono divergenze su le modalità del dialogo e sul momento di intraprenderlo. Mons. Melitone rappresentante del Patriarcato di Costantinopoli e presidente della conferenza, nel discorso inaugurale aveva parlato in tono molto elevato e nello stesso tempo estremamente abile. Dopo aver ricordato i segni dei tempi che invitano al riavvicinamento delle chiese, e l'atteggiamento assunto dalla sede di Costantinopoli in questa crociata dell'Unità, rivolse un appello patetico e vibrante a tutte le chiese. «Dobbiamo dissipare, disse, le tenebre dei pregiudizi e dell'intolleranza, dobbiamo uscire dalla nostra autarchia, dalla nostra autosufficienza, dal nostro ghetto... E concludeva: Al di sopra delle nostre teologie parziali c'è la parola di Dio; al di sopra delle nostre chiese particolari c'è la Chiesa da Lui fondata: Una Santa Cattolica Apostolica».
Appare evidente, che la condizione difficile, nella quale si trovano le chiese ortodosse in maggioranza sotto regimi comunisti, ha avuto una parte determinante nell'atteggiamento temporeggiatore manifestato dal sinodo. E perciò fu dichiarato, che né lo stato degli spiriti né quello delle cose permettevano di considerare come immediato il dialogo.
Quindi la dichiarazione finale: La conferenza si è resa conto, che una preparazione adeguata e la creazione di condizioni appropriate sarebbero necessarie per iniziare con profitto un dialogo teologico effettivo.
Di fronte ad un mondo che ha sete di unità, c'è da augurare, che i fratelli adunati a Rodi, dove S. Paolo predicò l'evangelo dell'amore e della concordia, trovino facile la via di Roma; di quella Roma, a cui S. Paolo tenne rivolte le aspirazioni del cuore, e la imporporò del suo sangue.
*****
[1] A Rodi convennero solo le chiese ortodosse, ossia quelle che seguono il rito bizantino, ma non le altre chiese orientali di rito differente, ma anch'esse separate da Roma: la chiesa Assira, la Copta, la Siro-Giacobita e l'Armena.
A portare un rimedio a questa grave deficienza organica in tutti questi gruppi di cristianità divise, è sorto un movimento per arrivare ad una unione che formasse un fronte unico contro il comune nemico, e creasse una comunione di vita e di vicendevoli aiuti. Il movimento già iniziato nel secolo passato si è accentuato ed allargato nel nostro secolo. Sono state celebrate molte adunanze appellate con nomi differenti, pancristiane, mondiali, ecumeniche ecc.
Nel mondo attualmente, tra grandi e piccole si contano circa duecento chiese dissidenti. Orbene per un incontro conciliare di tutte queste chiese fu posto come base l'eguaglianza di tutte dinanzi al problema dell'unione; e ciò sotto un triplice aspetto. Psicologico: tutte le chiese devono riconoscersi ugualmente colpevoli della divisione. Storico: nessuna chiesa può credersi la chiesa unica e totale di Cristo, ma solo una parte di essa, e di conseguenza nessuna può arrogarsi il diritto di pretendere la sottomissione delle altre ad essa. Escatologico: la Chiesa futura risultante dall'unione non potrà essere identica a nessuna delle chiese preesistenti. La Chiesa unica, universale che dovrà sorgere da questa nuova Pentecoste, dovrà sorpassare ugualmente tutte le singole confessioni cristiane. Appare evidente come tali basi sono in diretta opposizione alla Chiesa Cattolica.
2. - La prima grande adunanza delle chiese protestanti ed anglicane nel nostro secolo fu tenuta nel 1910 ad Edimburgo in Scozia, e fu classificata come movimento ecumenico. Ma presto però si manifestarono due tendenze per giungere all'unione. Una su la base dell'Azione e Vita (Work and Life), l'altra sulla base della Fede e Gerarchia (Faith and Order). Sotto il maggiore o il minore influsso dell'una o l'altra tendenza furono celebrati concilii mondiali nel 1925 a Stoccolma, ove intervenne una larga rappresentanza anche delle chiese ortodosse; nel 1927 a Losanna; nel 1937 a Oxford.
Nel 1915 Charles Brent, uno dei grandi pionieri del movimento per l'unione, si presentò al Papa Benedetto XV, che lo accolse molto affabilmente, ma non acconsentì all'invito di far partecipare la Chiesa Cattolica a conferenze e riunioni, ove essa si sarebbe trovata nello stesso piano delle altre chiese. Così fece anche Pio XII, quando gli fu rivolto l'invito per la partecipazione della Chiesa Cattolica al Consiglio Ecumenico delle Chiese tenuto si ad Evanston (Chicago) nel 1954.
La Chiesa Cattolica è costretta a rifiutare d'intervenire a simili riunioni per un atto di coerenza verso sé stessa, e per un atto di onestà verso gli acattolici. Parteciparvi sarebbe un tradimento della propria coscienza, che possiede la certezza assoluta di essere l'unica vera Chiesa fondata da Cristo sulla roccia di Pietro. E sarebbe un atto disonesto verso i fratelli separati, perché dovrebbe fingere di cercare con loro, ciò che non potrebbe mai trovare, perché già lo possiede. Come pure la Chiesa Cattolica non può acconsentire ad un così detto filetismo od irenismo, cioè ad una unione di chiese sorelle indipendenti tra di loro, e solo unite da alcune verità fondamentali comunemente professate, da un riconoscimento canonico vicendevole, e da rapporti di carità. L'unità deve risultare dall'unità dei cristiani, non dall'unità delle chiese a modo di federazione.
3. - Nel 1948 in Amsterdam si istituì il così detto Consiglio Ecumenico delle Chiese. Non si pretese di costituire una supra-Chiesa, né di sostituirsi a tutte le altre chiese, le quali conservano piena autonomia e possono prendere decisioni in proprio nome. Si volle solo creare un ambiente di riunione, ove tutte le chiese, coscienti del peccato e dello scandalo della loro divisione, potessero incontrarsi con mutuo rispetto per cercare e comporre sotto l'azione dello Spirito Santo, l'unità visibile della Chiesa di Cristo. Per questo incontro si stabilì di tenere una assemblea universale, ogni sei anni, di tutte le chiese.
Aprì la serie l'assemblea di Amsterdam, che prese per tema: «Il disordine dell'uomo ed i disegni di Dio». La seconda si tenne nel 1954 ad Evanston (Chicago), che prese per argomento: «Cristo speranza del mondo». La terza assemblea è stata celebrata a Nuova-Delhi in India dal 18 novembre al 5 dicembre del 1960. È stata la più imponente con duemila partecipanti e 198 chiese rappresentate, tra le quali si contavano anche le chiese ortodosse, e tra queste la chiesa russa con cospicua rappresentanza. In questa assemblea fu stabilito, che per essere ammessi come membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese, era necessario avere circa la fede, come minimo, una base comune. E questa base fu formulata con le seguenti parole: «Il Consiglio Ecumenico delle Chiese è una associazione fraterna delle chiese che confessano il Signor nostro Gesù Cristo, come Dio e Salvatore, secondo le Scritture; e si sforzano di rispondere uniti alla comune vocazione per la gloria d'un solo Dio, Padre Figliolo e Spirito Santo». Questa base fu accettata a grande maggioranza, ma anche respinta da un buon numero di delegati. Si credette così di aver fatto un primo passo verso l'unità.
Quando si venne a chiarire la natura di questa unità, fu proposta questa formula: «Crediamo che l'unità si attua, quando tutti i battezzati in Gesù Cristo confessano la stessa fede apostolica, predicano lo stesso Evangelo, partecipano allo stesso pane e si riuniscono nella comune preghiera». La discussione che si svolse intorno a questa formula, mise in luce il profondo fossato che divideva tra loro le singole chiese. Infatti grandi discrepanze si manifestarono per fissare un minimo di unità di fede; discrepanze nel chiarire la natura del pane, che per gli ortodossi è reale partecipazione al Corpo e Sangue di Cristo, per i protestanti ed anglicani è semplice pane come simbolo e ricordo di Cristo; discrepanze nell'interpretazione del Vangelo.
4. - Ma oltre a queste gravi differenze dottrinali l'unità perseguita da queste chiese è resa irraggiungibile per la mancanza dell'elemento che imprime e garantisce l'unione a qualunque genere di società, ossia l'autorità suprema. In questi incontri delle chiese dissidenti, la Chiesa Cattolica, che per il numero dei suoi membri e la grandiosità e saldezza del suo organismo, supera al doppio tutte le altre chiese, anche prese insieme, quantunque assente, faceva sentire la sua presenza per il gran senso di vuoto della sua mancanza, e per la corrente di simpatia e di attrazione, che essa suscitava in larghe sfere dissidenti.
La presenza poi a Nuova Delhi di cinque cattolici, non come delegati partecipanti, ma come semplici osservatori autorizzati, costituì un fatto nuovo nella storia del movimento ecumenista. Questo gesto di Roma alla vigilia del Concilio Vaticano Il suscitò una viva compiacenza nell'assemblea. Il Segretario Generale nel suo discorso inaugurale pronunziò serene parole per precisare la posizione dell'Assemblea ecumenica di fronte alla Chiesa Romana con la quale, disse, si è realizzato un progresso nelle mutue relazioni, dal momento che in preparazione del Concilio Vaticano II è stato creato in esso un Segretariato per l'unità delle chiese dissidenti, col quale possiamo scambiare mutue informazioni di comune interesse. E parlando del Concilio Vaticano affermò: «Senza dubbio sarà di grande importanza per il cristianesimo, e per il mondo. Ambo i concilii, il nostro ed il Vaticano, non si riuniscono l'uno contro l'altro, e non mirano egoisticamente ad un proprio interesse, ma solamente mirano a servire Nostro Signor Gesù Cristo».
Anche la persona del Sommo Pontefice Giovanni XXIII esercitava un'influenza notevole in questo lavoro di avvicinamento. Il suo nome risuonò spesso nell'assemblea di Nuova-Delhi insieme al nome di Roma. È veramente commovente questo anelito sincero e ardente dei nostri fratelli separati per raggiungere quella unità, che tutti sentono necessaria imperativa, per uniformarsi al grave precetto di Cristo: «Fiat unum ovile et unus Pastor», e far cessare uno dei grandi scandali che ritardano la conversione a Cristo di più che la metà ancora degli uomini i quali, osservando le tante divisioni tra i cristiani, rivolgono ai molti differenti annunziatori del Vangelo la domanda: A quale Cristo dobbiamo credere? Mettetevi prima d'accordo tra di voi.
5. - Le chiese ortodosse sebbene abbiano preso parte a queste riunioni pancristiane ed assemblee ecumeniche, vi si sono però trovate a disagio per la grande distanza che le separano, sia dai protestanti che dagli anglicani. Per questo alcune di esse si sono astenute sempre dall'intervenire. Ma non è meno ardente la brama dell'unità tra tutte queste chiese ortodosse. Sospinte anche esse da questo nuovo soffio verso l'unità, dopo vari tentativi di avvicinamento, nell'ottobre 1961, si diedero convegno nell'isola di Rodi per celebrarvi un congresso panortodosso. Fu un fatto storicamente importante, che queste chiese, da molti secoli aliene le une dalle altre, arrivassero ad incontrarsi.
Ma fin dall'inizio sorse un acuto contrasto per designare la presidenza. I rappresentanti della chiesa russa, come di gran lunga la più numerosa ed importante su tutte le altre chiese dell'ortodossia, pretendevano che la presidenza fosse conferita all'arcivescovo di Rostof, Mons. Nicodemo, rappresentante del Patriarca di Mosca Alessio. Questa richiesta della chiesa russa si riallaccia alla pretesa manifestata dai suoi Patriarchi sin dalla caduta di Costantinopoli, che Mosca fosse considerata come la terza Roma, e quindi il suo vescovo fosse riconosciuto Patriarca ecumenico di tutta l'ortodossia. Considerati questi precedenti non possono sorprendere le pretese della Chiesa russa. Ma la maggioranza delle altre chiese ortodosse si mostrò contraria, e volle che fosse conservata la tradizionale preminenza del Patriarca di Costantinopoli.
In questa occasione si stabilì l'ordine di precedenza di tutte le chiese dell'ortodossia nel modo seguente: I Patriarcati di Costantinopoli, di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme, di Russia, di Jugoslavia, di Romania e di Bulgaria; i Metropoliti di Grecia e di Cipro; le chiese autocefale della Georgia, Polonia, Cecoslovacchia, Finlandia[1].
6. - Questa conferenza panortodossa di Rodi ha avuto grande importanza, in quanto metteva in campo l'idea dell'unità tra chiese da undici secoli separate l'una dall'altra. Però essa è stata solamente una riunione preparatoria per concretare il programma di un concilio, ove dovrebbero convenire le gerarchie supreme di tutta l'ortodossia. Questo ci spiega come non solo non era presente il Patriarca di Mosca, Mons. Alessio, ma neanche quello di Costantinopoli, Mons. Atenagora, che era rappresentato dal metropolita di Mira, Mons. Crisostomo. Non conosciamo gli argomenti discussi, perché le riunioni furono tenute a porte chiuse.
Sappiamo però che a Rodi, data la comunità di fede e di sacramenti tra cattolicesimo ed ortodossia, l'assenza di Roma produceva un senso penoso di vuoto, molto più grande e sentito, che a Nuova-Delhi. Quindi non fu una sorpresa l'atteggiamento incline verso Roma di Mons. Crisostomo, quale interprete autorizzato dei sentimenti dello stesso Patriarca di Costantinopoli. Ma la delegazione della chiesa russa dimostrò una decisa opposizione a qualunque avvicinamento a Roma. Non è però possibile sapere fino a che punto i delegati del Patriarca di Mosca rappresentassero la vera ortodossia della Santa Russia, o gli interessi del Kremlino comunista. A Rodi non si chiarì l'enigma della Chiesa Russa.
7. - La Chiesa Cattolica guarda con simpatia ed amorosa benevolenza questo commovimento di tante anime cristiane, che anelano a comporre quella divina strettissima unità, oggetto dell'ardente preghiera di Gesù nella vigilia della sua morte. Ed affinché si affretti l'avvento felice di questa bramata unità, la Chiesa Cattolica non cessa di pregare il Padre dei lumi, perché con la sua luce e la sua grazia conduca quei nostri separati fratelli sulla via di Roma, ai piedi della Cattedra di Pietro, perno e fulcro dell'unità cristiana.
Ma già si scorgono i primi moti al richiamo dell'unità. Gli sguardi si rivolgono verso Roma. È diffuso il sentimento tra i cristiani separati, che senza di Roma è impossibile giungere all'unità. Il teologo russo Florowsky membro attivissimo del Consiglio Mondiale delle Chiese ha detto: «Nessuna cooperazione ecumenica nessuna vera comunità cristiana nessuna vera unità di cristiani può essere realizzata, se Roma non vi è inclusa». L'annunzio del Concilio Ecumenico Vaticano II ha suscitato larghi consensi, o per lo meno vivissimo interesse non solo presso gli Ortodossi, ma anche presso i Protestanti. Questi atteggiamenti benevoli dei cristiani separati acquistano maggior risalto, se si confrontano con la freddezza degli uni e il disprezzo degli altri, con cui fu accolto l'invito di Pio IX in occasione del Concilio Vaticano I. Si costata un vero mutamento di clima.
Questo clima poi si è illuminato della luce d'una promettente aurora in occasione del pellegrinaggio straordinario del successore di Giovanni XXIII, Paolo VI nella terra santa di Palestina nel 4-6 Gennaio 1964.
Il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora intraprese anche egli il pellegrinaggio della Palestina per incontrarsi con Paolo VI, proprio in quei luoghi in cui, Cristo fondò la sua Chiesa e l'affidò a Pietro come a suo Vicario in terra.
Incontro di immensa portata storica, che fa sperare un termine definitivo del grande scisma delle chiese orientali, che dura da un millennio.
Questo pellegrinaggio di Paolo VI ha destato vivissimo interesse ed ammirazione in tutto il mondo credente e non credente. Le accoglienze poi calorose ed entusiaste fatte al Papa dalle autorità e dai popoli maomettano ed ebraico in Giordania ed Israele, stanno a dimostrare l'altissimo prestigio, che nel tempo presente gode il Pontefice Romano nel mondo.
8. - In questo clima rischiarato di luce e di speranze le chiese ortodosse nella prima quindicina di Novembre 1964 si davano convegno a Rodi per una terza conferenza panortodossa. Una seconda era stata tenuta l'anno precedente pure a Rodi, ed in essa non fu approvata l' apertura immediata d'un dialogo con Roma, ma soltanto prospettata l'eventualità di un tale dialogo.
In questa terza conferenza quasi tutte le chiese ortodosse risposero a l'appello del Patriarca di Costantinopoli. Infatti 14 delegazioni ufficiali furono presenti in rappresentanza dei Patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Russia, Romania, Bulgaria, Serbia, delle chiese autocefale di Grecia, Cipro, Polonia, Cecoslovacchìa, Georgia, Finlandia.
Tre furono le lingue ufficiali adottate: la greca, la russa, l'araba.
Paolo VI fece pervenire alla conferenza di Rodi in qualità di Vescovo di Roma, una sua lettera assai cordiale, in cui esprimeva voti fraterni per il felice esito dei lavori. La lettera impressionò vivamente l' assemblea, la quale decise che fosse data una risposta altrettanto deferente e cortese al vescovo di Roma.
In questa conferenza fu dato un altro passo di avvicinamento con la decisione di arrivare ad un dialogo con Roma; ma non subito, ma dopo la chiusura del Concilio Vaticano II.
9. - Però se tutti più o meno furono d'accordo, che un dialogo era necessario, si manifestarono divergenze su le modalità del dialogo e sul momento di intraprenderlo. Mons. Melitone rappresentante del Patriarcato di Costantinopoli e presidente della conferenza, nel discorso inaugurale aveva parlato in tono molto elevato e nello stesso tempo estremamente abile. Dopo aver ricordato i segni dei tempi che invitano al riavvicinamento delle chiese, e l'atteggiamento assunto dalla sede di Costantinopoli in questa crociata dell'Unità, rivolse un appello patetico e vibrante a tutte le chiese. «Dobbiamo dissipare, disse, le tenebre dei pregiudizi e dell'intolleranza, dobbiamo uscire dalla nostra autarchia, dalla nostra autosufficienza, dal nostro ghetto... E concludeva: Al di sopra delle nostre teologie parziali c'è la parola di Dio; al di sopra delle nostre chiese particolari c'è la Chiesa da Lui fondata: Una Santa Cattolica Apostolica».
Appare evidente, che la condizione difficile, nella quale si trovano le chiese ortodosse in maggioranza sotto regimi comunisti, ha avuto una parte determinante nell'atteggiamento temporeggiatore manifestato dal sinodo. E perciò fu dichiarato, che né lo stato degli spiriti né quello delle cose permettevano di considerare come immediato il dialogo.
Quindi la dichiarazione finale: La conferenza si è resa conto, che una preparazione adeguata e la creazione di condizioni appropriate sarebbero necessarie per iniziare con profitto un dialogo teologico effettivo.
Di fronte ad un mondo che ha sete di unità, c'è da augurare, che i fratelli adunati a Rodi, dove S. Paolo predicò l'evangelo dell'amore e della concordia, trovino facile la via di Roma; di quella Roma, a cui S. Paolo tenne rivolte le aspirazioni del cuore, e la imporporò del suo sangue.
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[1] A Rodi convennero solo le chiese ortodosse, ossia quelle che seguono il rito bizantino, ma non le altre chiese orientali di rito differente, ma anch'esse separate da Roma: la chiesa Assira, la Copta, la Siro-Giacobita e l'Armena.