IL MISTERO DI ROMA
CAPO XXIV
IL PAPATO PRODIGIO DELLA STORIA
1. - Anche astraendo dalla parola di Cristo, su cui poggia il supremo Pontificato Romano, la sola considerazione della vitalità e perennità di esso, come appare dalla storia di 20 secoli, dovrebbe indurre ogni mente sgombra di pregiudizi a vedere nel Pontificato Romano un fatto, che è al di fuori e al di sopra del corso ordinario delle vicende umane.
Se nel Papato si nega un'istituzione divina, a spiegare la sua esistenza bisognerebbe ammettere che Roma sia plasmata intimamente d'un genio fatale di dominio universale; o come afferma l'anglicano Gibbon, che essa abbia avuto sempre in se stessa la legge della sua vita; [1] ovvero, come scrive il Renan, che essa possegga il genio innato del governo[2]. Bisognerebbe perciò ammettere che Roma sin dal tempo in cui si accorse che il suo dominio politico sul mondo s'incamminava verso il declino, cominciasse fin d'allora ad ordire la tela di un suo nuovo dominio universale, affinché caduto l'impero politico, continuasse a dominare il mondo con un suo impero spirituale e morale.
2. - E tale è la soluzione che al problema dell'esistenza del Papato offre lo storico protestante Ranke nella sua famosa storia dei Papi degli ultimi quattro secoli. Egli attribuisce i successi del Papato alla Volontà di potenza, insito nello spirito della romanità. «Tutti conoscono» scrive «la potenza di Roma nell'antichità e nel Medio Evo. Ma anche nell'età moderna ha avuto periodi di grandezza, nei quali è tornata ad estendere il suo dominio nel mondo». E quindi constata che «in nessuna parte del mondo si trova una serie di sovrani, re o imperatori, così segnalati per doti di governo e per virtù private, come è la serie dei Papi sovrani», e ne conclude che «alla forte ed abile capacità di questi uomini eccezionali sostenuti dallo spirito della romanità, si deve attribuire la potenza e la saldezza millenaria del dominio papale nel mondo».
3. - Orbene secondo la soluzione del problema proposta da questo scrittore, la storia del Papato dovrebbe essere concepita a questo modo: lo spirito di potenza della romanità già dal tempo di Nerone cominciò a tessere la tela d'un suo nuovo dominio. E quali tessitori si servì per prima d'un pescatore giudeo chiamato Pietro, e poi dei romani o italici Lino, Cleto, Clemente, Evaristo e successori, tutti abilissimi tessitori dell'arte di dominare; ma che però nei primi tre secoli spesso pagarono col sangue la grande audacia di voler fondare un impero romano di Pontefici in contrasto con l'impero romano dei Cesari.
E quando sotto l'urto dei barbari crollò l'impero politico dei Cesari, i Pontefici con abile mossa si assisero su quel trono rimasto vuoto e, rivestendosi dei paludamenti e della maestà del nome romano, rivendicarono il dominio morale sul mondo.
E con questo nome e con queste insegne piegarono i barbari innanzi alloro trono. Poi a renderli docili strumenti della loro potenza, i Pontefici quali presunti eredi dei Cesari, risuscitarono un impero romano politico ma sacro, dandone l'investitura e la consacrazione a questi barbari, franchi e teutoni.
Quando questi novelli cesari da essi creati si dimostrarono riottosi alloro dominio, li umiliarono a Canossa nella persona di Enrico IV, a Venezia nella persona dello sconfitto di Legnano Federico Barbarossa, il quale a reagire all'umiliazione, baciando il piede al Papa protestò: «Non tibi sed Petro». «Non a te, ma a Pietro». E Alessandro III fieramente rispondeva: «Et Petro et mihi». « E a Pietro ed a me». O li debilitavano con l'arma della scomunica, come fecero con Ottone di Brunswick, con Federico II, e con altri imperatori e re, fino a Napoleone Bonaparte.
Quando Roma con la riforma protestante vide restringersi l'area del suo dominio e debilitare la forza del, suo prestigio, con abile contrattacco contrappose una controriforma, organizzata dal Concilio Ecumenico di Trento, fiancheggiata da una agguerrita sacra milizia, la Compagnia di Gesù, ed altri nuovi ordini religiosi.
Così pure allo sgretolamento del potere temporale, per evitare un indebolimento del potere spirituale, Pio IX con inarrivabile arte fece proclamare il dogma della infallibilità pontificia dal Concilio Ecumenico Vaticano I; e così aggiungeva una fulgida gemma alla tiara pontificia, proprio quando lo si spogliava della corona temporale. Ed il suo successore Leone XIII, il primo Papa eletto dopo la perdita del potere temporale, mentre con la rigida intransigenza del Non expedit teneva viva la protesta contro il re d'Italia ed il suo governo con finissima diplomazia, ad evitare l'isolamento, riallacciava le relazioni con molti stati che le avevano interrotte, e piegava ad una simbolica Canossa il luterano Bismarck, il cancelliere di ferro, il fondatore dell'impero germanico, il promotore del Kulturkampf contro la Chiesa Cattolica.
Ed un altro successore, Pio XI, giunse a piegare il governo italiano a ricostruirgli il potere temporale, sia pure nel minuscolo territorio Vaticano, ma sufficiente a rivendicare l'indipendenza del Pontefice da ogni potestà umana.
Con queste simili fantasiose interpretazioni storiche verrebbe dimostrata la formidabile volontà di potenza della romanità, e spiegherebbe il grande e singolare fenomeno del dominio papale nel mondo.
Ugualmente errata, ma almeno più rispettosa, è l' asserzione dell'anglicano Macaulay, secondo il quale la costituzione della Roma spirituale col Papato alla testa sia il più grande capolavoro dell'umana sapienza, il più perfetto fra tutti i mezzi escogitati per dominare gli uomini[3].
4. - Analoga alle suddette è la spiegazione che ne dà uno storico marxista, per il quale tutte le vicende umane sono determinate da fattori materiali ed economici, che scrive: «L'aspirazione della Curia Romana è in ultima analisi un problema di potenza politica, determinata sin dal suo principio da problemi economici e sociali. Il Papato però suole presentare i suoi interessi terreni di potenza in veste di valori spirituali, e nulla più lo irrita, che l'indagine su questa sua volontà di dominio che ha sviluppato attraverso i secoli»[4].
5. - Altri fanno derivare questa vittoriosa e costante influenza del Papato nel mondo dalla forza che la religione esercita su le anime. Ma costoro dovrebbero allora spiegarci, come mai in tutte le altre religioni, come nel buddhismo, induismo, islamismo ecc., e nelle stesse chiese cristiane protestanti ed ortodosse, non sia sorto nulla che possa raffrontarsi al Pontificato Romano. Costantinopoli cercò di essere la seconda Roma, Mosca la terza Roma; ma non vi riuscirono. Gli anglicani cercarono di creare un centro d'un impero spirituale a Canterbury o Lambeth, ed i protestanti a Ginevra; ma fallirono tutti i progetti.
6. - Tra gli ortodossi corre l'opinione che il successo del Pontificato Romano nell'affermazione della sua potenza si deve alla sapiente organizzazione amministrativa dell'impero romano, che i vescovi di Roma seppero bene sfruttare per creare ed estendere la propria influenza dominatrice sul mondo.
Alfredo Rocco autorevole ministro nel governo fascista, nella prefazione al volume di storia "Le nazioni moderne" del Prof. Carlo Capasso, scrive: «La Chiesa Cattolica è una formazione prettamente romana, diversa affatto dal cristianesimo, il quale sarebbe un fenomeno giudaico-asiatico, particolarista. Essa invece perpetuò l'organismo universale, gerarchico ed unitario dell'impero romano, trasformando radicalmente il movimento cristiano da anarchico e rivoluzionario in gerarchico ed unitario, da movimento locale e palestinese a religione universale». Analoga a queste teorie romanistiche è l'asserzione del protestante Harnack, il quale rimprovera alla Chiesa di essere diventata «una potenza politica grandiosa, come un impero universale, come una continuazione dell 'impero romano. Essa la Chiesa Romana governa ancora i popoli; i suoi Papi imperano come Traiano e Marco Aurelio; al posto di Romolo e Remo sono stati messi gli Apostoli Pietro e Paolo; i vescovi e gli arcivescovi sono i proconsoli; i cardinali formano il suo senato; i preti ed i frati le sue legioni»[5].
Sembra incredibile che un erudito come Hamack sia sceso a queste insipienti affermazioni.
7. - C'è stato perfino un anglicano, Rev. J. H. Wylie, il quale in un grosso volume si è sforzato di provare che il tremendo potere, come egli scrive, ed il portentoso sviluppo del papato si deve alla corruzione umana, che i Papi con l'ipocrisia e l'opportunismo, con i raggiri e gli inganni, con le blandizie e le minacce, con il fasto e la prepotenza seppero far servire alla propria grandezza [6].
Se ciò fosse vero, bisognerebbe concludere che il papato sia un fenomeno ancora più prodigioso ed inesplicabile, perché pur poggiando sopra fondamenta di debolezza e di morte, come è la corruzione e la falsità, resiste più saldo che mai dopo 20 secoli di immensa attività e di formidabili lotte. Ecco la logica del pregiudizio e dell'avversione!
8. - Altri hanno formulato altre teorie, escogitate altre ipotesi, per trovare la ragione determinante del potere dei Pontefici Romani. Ma sono tutte elucubrazioni stilate da un proposito diretto ad eliminare l'origine divina del Papato, e perciò bacate di preconcetti, e poggiate sopra basi artificiose. Tutto questo ci richiama a quei filosofi e scienziati i quali, per non ammettere l'esistenza di un Dio Creatore, hanno proposto ipotesi e sistemi che appellano scientifici per spiegare l'origine e la formazione del mondo universo. Ma sono ipotesi e sistemi fondati non già sulla scienza, ma su la fantascienza.
Non la fatalità di Roma, non l'abilità volitiva degli uomini, non le fortunose vicende storiche, non l'influsso della religione, non altra combinazione umana è bastevole a spiegarci il fatto portentoso del Pontificato Romano, unico nei secoli, se si astrae dalla divina parola di Cristo: «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le potenze dell'inferno non prevarranno contro di essa. Ecco Io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli» (Mt 16,18; 28,20).
Bisogna dunque, riconoscere nel Papato una forza superiore a tutte le forze e a tutti gli organamenti umani. Si deve ripetere con Vincenzo Monti: «Son la forza di Dio; nessun mi tocchi»[7].
9. - Quando i nemici videro l'odiato Galileo morto su la croce e chiuso nel sepolcro, gioirono credendo di averlo annientato per sempre. Ma Gesù uscendo vivo e glorioso dalla tomba, rese vani tutti i calcoli e le speranze loro. Però la sua vittoria non si manifestò con un trionfo spettacolare; il Risorto non andò per le vie di Gerusalemme, non si presentò nei portici del tempio agli occhi attoniti di coloro che gli avevano gridato il crucifige. No, si manifestò solo a poche umili donne, a pochi paurosi e scoraggiati discepoli. Circondò insomma il suo trionfo d'un ombra discreta di umiltà e di modestia; lasciò che i nemici spargessero tra il popolo la storiella del rapimento del suo corpo dal sepolcro.
Dello stesso stile sono i trionfi dei Papi, nei quali Cristo continua la sua presenza visibile su la terra. «Il regno di Dio non viene con ostentazione» (Lc 17,21). Nel corso dei secoli essi sempre sono emersi vittoriosi, anche dalle più furiose tempeste che sembravano li avessero inghiottiti per sempre. Ma questi trionfi si sono mostrati quasi costantemente, come fortunosi scampi da pericoli, come naturali superamenti dovuti a circostanze accidentali di fatti e di persone. Insomma trionfi velati, spesso anche da umane debolezze. E sono questi veli, queste ombre, a cui si appuntano gli sguardi di tutti coloro, che non vogliono riconoscere il lato divino del Pontificato Romano; e sviati dal falso angolo visuale, in cui si pongono, elucubrano teorie fantasiose per spiegare la permanenza indistruttibile e vittoriosa del Papato nei secoli.
*****
[1] E. GIBBON, History of the decline and fall ofthe Roman Empire, London, Methuen, 1896-1900.
[2] Conferenze d'Inghilterra.
[3] T.B. MACAULAY, Lays of ancient Rome, Longmans, 1842.
[4] E. WINTER, Russland und das Papstum, 1960.
[5] A.HARNACK, Essenza del Cristianesimo, Conferenza XIV.
[6] J.H. WYLIE, The Papacy, Edimburgo, 1851.
[7] V. MONTI, In morte di Ugo Basville, III,15.
Se nel Papato si nega un'istituzione divina, a spiegare la sua esistenza bisognerebbe ammettere che Roma sia plasmata intimamente d'un genio fatale di dominio universale; o come afferma l'anglicano Gibbon, che essa abbia avuto sempre in se stessa la legge della sua vita; [1] ovvero, come scrive il Renan, che essa possegga il genio innato del governo[2]. Bisognerebbe perciò ammettere che Roma sin dal tempo in cui si accorse che il suo dominio politico sul mondo s'incamminava verso il declino, cominciasse fin d'allora ad ordire la tela di un suo nuovo dominio universale, affinché caduto l'impero politico, continuasse a dominare il mondo con un suo impero spirituale e morale.
2. - E tale è la soluzione che al problema dell'esistenza del Papato offre lo storico protestante Ranke nella sua famosa storia dei Papi degli ultimi quattro secoli. Egli attribuisce i successi del Papato alla Volontà di potenza, insito nello spirito della romanità. «Tutti conoscono» scrive «la potenza di Roma nell'antichità e nel Medio Evo. Ma anche nell'età moderna ha avuto periodi di grandezza, nei quali è tornata ad estendere il suo dominio nel mondo». E quindi constata che «in nessuna parte del mondo si trova una serie di sovrani, re o imperatori, così segnalati per doti di governo e per virtù private, come è la serie dei Papi sovrani», e ne conclude che «alla forte ed abile capacità di questi uomini eccezionali sostenuti dallo spirito della romanità, si deve attribuire la potenza e la saldezza millenaria del dominio papale nel mondo».
3. - Orbene secondo la soluzione del problema proposta da questo scrittore, la storia del Papato dovrebbe essere concepita a questo modo: lo spirito di potenza della romanità già dal tempo di Nerone cominciò a tessere la tela d'un suo nuovo dominio. E quali tessitori si servì per prima d'un pescatore giudeo chiamato Pietro, e poi dei romani o italici Lino, Cleto, Clemente, Evaristo e successori, tutti abilissimi tessitori dell'arte di dominare; ma che però nei primi tre secoli spesso pagarono col sangue la grande audacia di voler fondare un impero romano di Pontefici in contrasto con l'impero romano dei Cesari.
E quando sotto l'urto dei barbari crollò l'impero politico dei Cesari, i Pontefici con abile mossa si assisero su quel trono rimasto vuoto e, rivestendosi dei paludamenti e della maestà del nome romano, rivendicarono il dominio morale sul mondo.
E con questo nome e con queste insegne piegarono i barbari innanzi alloro trono. Poi a renderli docili strumenti della loro potenza, i Pontefici quali presunti eredi dei Cesari, risuscitarono un impero romano politico ma sacro, dandone l'investitura e la consacrazione a questi barbari, franchi e teutoni.
Quando questi novelli cesari da essi creati si dimostrarono riottosi alloro dominio, li umiliarono a Canossa nella persona di Enrico IV, a Venezia nella persona dello sconfitto di Legnano Federico Barbarossa, il quale a reagire all'umiliazione, baciando il piede al Papa protestò: «Non tibi sed Petro». «Non a te, ma a Pietro». E Alessandro III fieramente rispondeva: «Et Petro et mihi». « E a Pietro ed a me». O li debilitavano con l'arma della scomunica, come fecero con Ottone di Brunswick, con Federico II, e con altri imperatori e re, fino a Napoleone Bonaparte.
Quando Roma con la riforma protestante vide restringersi l'area del suo dominio e debilitare la forza del, suo prestigio, con abile contrattacco contrappose una controriforma, organizzata dal Concilio Ecumenico di Trento, fiancheggiata da una agguerrita sacra milizia, la Compagnia di Gesù, ed altri nuovi ordini religiosi.
Così pure allo sgretolamento del potere temporale, per evitare un indebolimento del potere spirituale, Pio IX con inarrivabile arte fece proclamare il dogma della infallibilità pontificia dal Concilio Ecumenico Vaticano I; e così aggiungeva una fulgida gemma alla tiara pontificia, proprio quando lo si spogliava della corona temporale. Ed il suo successore Leone XIII, il primo Papa eletto dopo la perdita del potere temporale, mentre con la rigida intransigenza del Non expedit teneva viva la protesta contro il re d'Italia ed il suo governo con finissima diplomazia, ad evitare l'isolamento, riallacciava le relazioni con molti stati che le avevano interrotte, e piegava ad una simbolica Canossa il luterano Bismarck, il cancelliere di ferro, il fondatore dell'impero germanico, il promotore del Kulturkampf contro la Chiesa Cattolica.
Ed un altro successore, Pio XI, giunse a piegare il governo italiano a ricostruirgli il potere temporale, sia pure nel minuscolo territorio Vaticano, ma sufficiente a rivendicare l'indipendenza del Pontefice da ogni potestà umana.
Con queste simili fantasiose interpretazioni storiche verrebbe dimostrata la formidabile volontà di potenza della romanità, e spiegherebbe il grande e singolare fenomeno del dominio papale nel mondo.
Ugualmente errata, ma almeno più rispettosa, è l' asserzione dell'anglicano Macaulay, secondo il quale la costituzione della Roma spirituale col Papato alla testa sia il più grande capolavoro dell'umana sapienza, il più perfetto fra tutti i mezzi escogitati per dominare gli uomini[3].
4. - Analoga alle suddette è la spiegazione che ne dà uno storico marxista, per il quale tutte le vicende umane sono determinate da fattori materiali ed economici, che scrive: «L'aspirazione della Curia Romana è in ultima analisi un problema di potenza politica, determinata sin dal suo principio da problemi economici e sociali. Il Papato però suole presentare i suoi interessi terreni di potenza in veste di valori spirituali, e nulla più lo irrita, che l'indagine su questa sua volontà di dominio che ha sviluppato attraverso i secoli»[4].
5. - Altri fanno derivare questa vittoriosa e costante influenza del Papato nel mondo dalla forza che la religione esercita su le anime. Ma costoro dovrebbero allora spiegarci, come mai in tutte le altre religioni, come nel buddhismo, induismo, islamismo ecc., e nelle stesse chiese cristiane protestanti ed ortodosse, non sia sorto nulla che possa raffrontarsi al Pontificato Romano. Costantinopoli cercò di essere la seconda Roma, Mosca la terza Roma; ma non vi riuscirono. Gli anglicani cercarono di creare un centro d'un impero spirituale a Canterbury o Lambeth, ed i protestanti a Ginevra; ma fallirono tutti i progetti.
6. - Tra gli ortodossi corre l'opinione che il successo del Pontificato Romano nell'affermazione della sua potenza si deve alla sapiente organizzazione amministrativa dell'impero romano, che i vescovi di Roma seppero bene sfruttare per creare ed estendere la propria influenza dominatrice sul mondo.
Alfredo Rocco autorevole ministro nel governo fascista, nella prefazione al volume di storia "Le nazioni moderne" del Prof. Carlo Capasso, scrive: «La Chiesa Cattolica è una formazione prettamente romana, diversa affatto dal cristianesimo, il quale sarebbe un fenomeno giudaico-asiatico, particolarista. Essa invece perpetuò l'organismo universale, gerarchico ed unitario dell'impero romano, trasformando radicalmente il movimento cristiano da anarchico e rivoluzionario in gerarchico ed unitario, da movimento locale e palestinese a religione universale». Analoga a queste teorie romanistiche è l'asserzione del protestante Harnack, il quale rimprovera alla Chiesa di essere diventata «una potenza politica grandiosa, come un impero universale, come una continuazione dell 'impero romano. Essa la Chiesa Romana governa ancora i popoli; i suoi Papi imperano come Traiano e Marco Aurelio; al posto di Romolo e Remo sono stati messi gli Apostoli Pietro e Paolo; i vescovi e gli arcivescovi sono i proconsoli; i cardinali formano il suo senato; i preti ed i frati le sue legioni»[5].
Sembra incredibile che un erudito come Hamack sia sceso a queste insipienti affermazioni.
7. - C'è stato perfino un anglicano, Rev. J. H. Wylie, il quale in un grosso volume si è sforzato di provare che il tremendo potere, come egli scrive, ed il portentoso sviluppo del papato si deve alla corruzione umana, che i Papi con l'ipocrisia e l'opportunismo, con i raggiri e gli inganni, con le blandizie e le minacce, con il fasto e la prepotenza seppero far servire alla propria grandezza [6].
Se ciò fosse vero, bisognerebbe concludere che il papato sia un fenomeno ancora più prodigioso ed inesplicabile, perché pur poggiando sopra fondamenta di debolezza e di morte, come è la corruzione e la falsità, resiste più saldo che mai dopo 20 secoli di immensa attività e di formidabili lotte. Ecco la logica del pregiudizio e dell'avversione!
8. - Altri hanno formulato altre teorie, escogitate altre ipotesi, per trovare la ragione determinante del potere dei Pontefici Romani. Ma sono tutte elucubrazioni stilate da un proposito diretto ad eliminare l'origine divina del Papato, e perciò bacate di preconcetti, e poggiate sopra basi artificiose. Tutto questo ci richiama a quei filosofi e scienziati i quali, per non ammettere l'esistenza di un Dio Creatore, hanno proposto ipotesi e sistemi che appellano scientifici per spiegare l'origine e la formazione del mondo universo. Ma sono ipotesi e sistemi fondati non già sulla scienza, ma su la fantascienza.
Non la fatalità di Roma, non l'abilità volitiva degli uomini, non le fortunose vicende storiche, non l'influsso della religione, non altra combinazione umana è bastevole a spiegarci il fatto portentoso del Pontificato Romano, unico nei secoli, se si astrae dalla divina parola di Cristo: «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le potenze dell'inferno non prevarranno contro di essa. Ecco Io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli» (Mt 16,18; 28,20).
Bisogna dunque, riconoscere nel Papato una forza superiore a tutte le forze e a tutti gli organamenti umani. Si deve ripetere con Vincenzo Monti: «Son la forza di Dio; nessun mi tocchi»[7].
9. - Quando i nemici videro l'odiato Galileo morto su la croce e chiuso nel sepolcro, gioirono credendo di averlo annientato per sempre. Ma Gesù uscendo vivo e glorioso dalla tomba, rese vani tutti i calcoli e le speranze loro. Però la sua vittoria non si manifestò con un trionfo spettacolare; il Risorto non andò per le vie di Gerusalemme, non si presentò nei portici del tempio agli occhi attoniti di coloro che gli avevano gridato il crucifige. No, si manifestò solo a poche umili donne, a pochi paurosi e scoraggiati discepoli. Circondò insomma il suo trionfo d'un ombra discreta di umiltà e di modestia; lasciò che i nemici spargessero tra il popolo la storiella del rapimento del suo corpo dal sepolcro.
Dello stesso stile sono i trionfi dei Papi, nei quali Cristo continua la sua presenza visibile su la terra. «Il regno di Dio non viene con ostentazione» (Lc 17,21). Nel corso dei secoli essi sempre sono emersi vittoriosi, anche dalle più furiose tempeste che sembravano li avessero inghiottiti per sempre. Ma questi trionfi si sono mostrati quasi costantemente, come fortunosi scampi da pericoli, come naturali superamenti dovuti a circostanze accidentali di fatti e di persone. Insomma trionfi velati, spesso anche da umane debolezze. E sono questi veli, queste ombre, a cui si appuntano gli sguardi di tutti coloro, che non vogliono riconoscere il lato divino del Pontificato Romano; e sviati dal falso angolo visuale, in cui si pongono, elucubrano teorie fantasiose per spiegare la permanenza indistruttibile e vittoriosa del Papato nei secoli.
*****
[1] E. GIBBON, History of the decline and fall ofthe Roman Empire, London, Methuen, 1896-1900.
[2] Conferenze d'Inghilterra.
[3] T.B. MACAULAY, Lays of ancient Rome, Longmans, 1842.
[4] E. WINTER, Russland und das Papstum, 1960.
[5] A.HARNACK, Essenza del Cristianesimo, Conferenza XIV.
[6] J.H. WYLIE, The Papacy, Edimburgo, 1851.
[7] V. MONTI, In morte di Ugo Basville, III,15.