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IL MISTERO DI ROMA
CAPO XVII

L'UNITA' ROMANA NEL MEDIOEVO

1. - Nel 476 con la scomparsa dell 'ultimo imperatore Romolo Augustolo, Roma perdeva il suo politico dominio sul mondo. La stessa città per due volte saccheggiata dai barbari, nel fluire degli anni cominciò a decadere da quella splendente monumentalità, per cui era salutata "aurea Roma", e da Temistio, filosofo greco, "pelago di inesprimibile bellezza". I suoi grandi edifici pubblici, i suoi fori, i suoi monumenti, le vie consolari abbandonati a sé e senza la cura della mano dell'uomo, subivano gli effetti della forza demolitrice del tempo; ma più ancora della cieca avidità degli uomini, che guardarono a quelle derelitte costruzioni, come a propizie cave di materiali per edificare, riparare o abbellire le loro case, o i nuovi pubblici edifici.
    Eppure Roma malgrado la scomparsa del suo potere politico, malgrado la decadenza materiale di città fatiscente e impoverita di abitanti e di beni, nulla perdé del suo prestigio morale sul mondo; Roma dominava sempre nelle menti e nei cuori degli uomini. Essi continuarono a guardare a Roma come al centro di convergenza di tutti i popoli cristiani; al vincolo che li riuniva al di sopra delle divisioni politiche e sociali; al faro di luce che mostrava le vie maestre per arrivare a Dio nella pace e nel progresso della vita.
    Questo sentimento di stima e di amore per Roma, così radicato ed universale nei secoli del Medio Evo, fu come una istintiva e spontanea continuazione di quella abitudine durata per i lunghi secoli precedenti a riguardare Roma come l'augusto centro dell'autorità e dell'unità del mondo; abitudine alimentata e fatta più profonda dal nuovo carattere divino che Roma aveva assunto come capitale del regno di Dio sulla terra.
    La Chiesa di Cristo continuava a presentarsi allo sguardo dei popoli cristiani come l'unica legittima erede della maestà e della gloria del nome romano, della cultura, della lingua, del diritto, della esperienza organizzativa di Roma. Erano persuasi che Dio avesse formata e preparata Roma per la sua Chiesa, che doveva chiamarsi romana, come una nota inconfondibile di conoscenza.

2. - Nel Medio Evo erano concetti equivalenti: Popolo Cristiano e Popolo Romano; e si chiamò anche "Romania" l'insieme dei paesi abitati da popoli cristiani, in opposizione alle regioni abitate da popoli ancora giacenti nelle ombre dell'ignoranza e dell'idolatria. Roma donò a questa repubblica cristiana una potente unità di fede, di culto e di disciplina, ed organizzò una specie di tribunale supernazionale che giudicava e dirigeva con autorità le divergenze, le lotte ed i conflitti che
sorgevano tra i popoli componenti la cristianità.
    A meglio premunire e rinsaldare l'unione dei popoli cristiani all'inizio del secolo IX si compì un fatto grandioso che solo Roma poteva produrre. Il Papa Leone III, come legittimo erede della romanità, risuscitava l'impero romano, ma con un nuovo carattere e nuova missione, nella persona di Carlo Magno, che prostrato ai suoi piedi nella basilica di S. Pietro, ne riceveva l'unzione e l'investitura, acclamato dal popolo col grido augurale: «All'imperatore Carlo Augusto incoronato da Dio, salute, vita, vittoria!»

3. - Così fu creato il Sacro Romano Impero. Da Roma Carlo Magno ricevette la porpora imperiale, come pure i suoi successori, perché Roma restava sempre il centro del mondo, come ripeteva un verso leonino medioevale impresso anche nei sigilli imperiali: «Roma caput mundi regit orbis frena rotundi»[1].
    Francesco II d'Austria fu l'ultimo a portare il titolo di Imperatore Romano. Nel 1806 temendo di dover cedere la dignità del Sacro Romano Impero a Napoleone, la depose nelle mani del Pontefice regnante Pio VII. Così essa ritornava donde era sorta dopo mille e sei anni.
    Nella letteratura di tutto il medio Evo con costante frequenza, Roma è chiamata l'apice, la gloria, la gemma, il decoro dell'orbe; la regina, la madre, la signora del mondo; Roma sacra, città santa. Ma l'appellativo più affettuoso è quello di patria comune. Riporto qui le affermazioni di tre soli personaggi dell'epoca, ma che sono tra le menti più rappresentative del Medio Evo. S. Tommaso, volendo dare la ragione perché mai Cristo scelse Roma a capitale del suo regno, scrive che ciò avvenne perché, essendo Roma la capitale del mondo, volle che anche la capitale della sua Chiesa fosse stabilita nella stessa Roma in segno di sua perfetta vittoria, e perché di là la fede più agevolmente si diffondesse in tutto il mondo[2].

4. - Dante Alighieri scrive che come Dio dispose le vicende del popolo ebreo, perché da esso germogliasse la gloria e l'onore dell 'umana generazione, cioè Maria, tramite la quale il mondo ricevesse il suo Redentore, così Dio mediante le imprese del popolo romano preparò quell'impero che doveva pacificare tutto il mondo, perché nella pace Egli potesse scendere visibile tra gli uomini. «Perciò Roma, la santa cittade, per le stesse pietre di cui sono costruite le sue mura ed il suolo, dove sorgono i suoi edifici, è degna di venerazione»[3]. E questo sacro destino di Roma e del suo impero, il divin poeta lo denunzia nella famosa terzina:

«La quale e 'l quale, a voler dir lo vero,
fur stabiliti per lo loco santo,
u' siede il successor del maggior Piero»[4].

    Nella stessa epoca di Dante due grandi donne illustrarono la missione di Roma: una principessa di Svezia, S. Brigida, ed una popolana italiana, S. Caterina da Siena. La prima va a Roma per acquistare l'indulgenza giubilare del 1350, e per lavorare più efficacemente per il ritorno del Papa da Avignone. Già dalla Svezia aveva inviato un messaggio a Clemente VI, esortandolo a tornare a Roma. Altri messaggi poi inviò da Roma ai successori Urbano VI e Gregorio XI. Ed a quest'ultimo, che finalmente si decise di tornare a Roma, annunziò che la residenza del Papa non sarà più al Patriarchio Lateranense, ma al Vaticano. E, previsione stupefacente!, delinea i confini della sede Vaticana, quali furono stabiliti dai patti Lateranensi nel 1929; e aggiunge che il Papa possederà questo luogo, affinché più liberamente e tranquillamente possa governare la Chiesa[5].
    S. Brigida morì nel 1373. La missione romana della svedese fu continuata dall'amica senese S. Caterina. Questa di persona si presenta in Avignone a Gregorio XI, e lo esorta per l'incarico avutone da Gesù stesso, a tornare a Roma. Ma anche prima del suo viaggio questa messaggera di Cristo presso i grandi della terra, aveva scritto arditamente al Pontefice, perché lasciasse Avignone, e tornasse a Roma, che nella lettera 196 chiama «sede obbligatoria»; e nella lettera 347 parlando di Roma afferma con risolutezza: «Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto, ed è il principio della nostra fede». E torna a ripetere la stessa affermazione in altre due lettere (362-360). «La Chiesa di Roma è il principio della nostra fede. Qui è il corpo ed il principio della nostra fede».
    Questi profondi sentimenti della vergine senese erano comuni alle grandi e semplici anime del Medio Evo. S. Francesco e S. Domenico, S. Felice di Valois e S. Giovanni de Matha si presentarono al grande Pontefice Innocenzo III per ottenere l'approvazione degli istituti da essi iniziati, persuasi che senza il crisma di Roma la loro opera non avrebbe potuto vivere ed espandersi nel mondo.
    In mezzo al secolo X quando l'Urbe era decaduta nel più basso stato di abbandono e di miseria, la luce e il prestigio di Roma Eterna non erano oscurati, ma esercitavano sempre un alto dominio sugli spiriti, tanto che Alfano di Salerno poteva allora dire al principe Gisulfo: «Non v'è nulla di più grande della nobiltà dell'Urbe, ché quanto di onorato possiede l'Orbe, tutto fu fatto dalla virtù di Roma»[6]. Dalla lontana Spagna del sec. XIII Lucas Tudensis Vescovo di Tuy-Vigo in uno scritto contro gli Albigesi proclama Roma città misteriosa, la città del Gran Re, la città di Dio: «Dentro la sua cinta il Signore spiega singolarmente la sua gloria. È sul suo suolo che troneggia la più alta delle sovranità. Si chiama a buon diritto la Montagna del Testamento, il Monte Sacro. Di fatto Cristo accumulò in Roma per il suo Pontefice una ricchissima dote di maestà, di dignità, di pace e di gloria; lo costituì Monarca per sempre al di sopra di tutti».

5. - Tra i cristiani dei primi secoli era assai diffusa la persuasione degli antichi romani, che l'impero politico di Roma dovesse durare in perpetuo per l'unità e la pace del mondo, ed in questo senso interpretavano l'appellativo di Roma Eterna. «Finché ci saranno uomini, Roma sempre vincerà» scriveva Ammiano Marcellino [7]. Caduto l'impero politico di Roma non cadde la credenza nell'eternità di Roma, solo essa fu attribuita non più all'impero, ma unicamente all'Urbe. Quindi continuò ininterrotto l'appellativo di Roma Eterna.
    Questa credenza nell' eternità di Roma nel Medio Evo fu tanto profondamente sentita, che era universale persuasione che la fine del mondo sarebbe coincisa con la fine di Roma. Comune era il detto: «Quando cadrà il Colosseo cadrà Roma, e quando cadrà Roma cadrà il mondo» [8].

6. - Questo primato che Roma cristiana continuava ad esercitare sui popoli, si manifestava anche con la diffusione della sua lingua, il latino, che costituì l' ordinario mezzo di comunicazione tra tutte le nazioni cristiane. Era la lingua con cui il Papa parlava al mondo; la lingua delle scienze sacre, la lingua della diplomazia, delle università, della filosofia, del diritto, delle leggi, ed anche delle scienze naturali.
    Cicerone in De Officiis scrive: «La lingua latina ha affratellato i popoli da fare dell'impero un pacifico patrocinio di tutto l'Orbe». Ebbene come la lingua latina fu vincolo di unità nel mondo romano, così divenne vincolo di unità nel mondo cristiano. Per mezzo del latino la Chiesa evitò quella fune sta babele linguistica, che spesso semina equivoci e discordie.
    La lingua latina non solo è la più maestosa, ma anche la più logica ed organica che sia mai esistita, e non essendo più lingua volgare è ormai fissa ed inequivocabile; quindi più di una lingua moderna, soggetta a continue trasformazioni, essa è adatta ad esprimere con chiarezza e precisione i dommi della fede, ed a trasmetterli con assoluta fedeltà a tutti i popoli del mondo e dei secoli. Essa non suscita gelosie, si mostra imparziale con tutti ed è bene accetta a tutti. I Greci stessi così giustamente orgogliosi della loro lingua, chiamarono il latino, lingua regale, (basilikè glòssa), ed ai nostri giorni anche il Codice di diritto delle Chiese Orientali è stato redatto in latino. Perciò giustamente Pio XI chiamò il latino, lingua cattolica.

7. - Qualche volta per dispregio si sente chiamare il latino della Chiesa lingua di sagrestia, lingua sgrammaticata e sciatta. No, è la genuina lingua latina piegata ad esprimere le nuove idee, che la religione cristiana ha sparso nelle menti umane, come fermento possente di superiore civiltà. A nuove idee, nuove parole e nuove locuzioni per esprimerle. Non era possibile rinchiudere le sublimi verità della religione di Cristo con le sole forme classiche degli scrittori pagani, ignari della cultura e civiltà cristiane. Fu necessario formare uno stile latino flessibile, chiaro, adatto alle nuove idee. Ed esso ci ha dato le opere monumentali dei Padri e Dottori della Chiesa, ha espresso con lucido ordine e profondo acume la grande filosofia medioevale, ha illustrato con metodo razionale le verità della fede, ha formulato le leggi del Diritto Canonico e composto i sapienti Commentari al Diritto Romano.

8. - Paolo VI nella lettera al Cardinale Bacci autore del Vocabolario Italiano-Latino delle parole moderne, dice: «È a l'idioma latino che la Chiesa Romana deve ancor oggi la perspicuità, il vigore, l'integrità delle sue espressioni ufficiali».
    Il latino se non è più parlato dal popolo, non per questo si deve dire lingua morta. Esso mai ha cessato di essere parlato e scritto; esso è ancora una lingua viva, d'una sua vita superiore, che mentre lo preserva dalle trasformazioni, cui vanno soggette le lingue volgari, è capace di arricchirsi di nuovi elementi per esprimere le nuove idee e la nuova vita dei popoli. Se in questi ultimi tempi in molti settori della vita culturale l'uso dell'idioma di Roma è decaduto, questo si deve oltre alla superficialità troppo diffusa della formazione culturale ed alla ricerca d'un utilitarismo immediato, si deve pure allo spirito anticristiano, che estende la sua ostilità anche contro il maestoso idioma di Roma, perché è la lingua ufficiale della Chiesa Cattolica.

*****

[1] Verso che tradotto recita così: «Roma capo del mondo regge le redini dell'orbe rotondo».
[2] S.TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, III q.35, art.7, ad.3.
[3] D. ALIGHIERI, Convivio IV, 5-20.
[4] D. ALIGHIERI, Inferno II, 22-24.
[5] La Madre ELISABETTA HESSELBLAD, restauratrice dell'Ordine Brigidino dopo il Concordato del 1929 portò a Pio XI questa rivelazione di S. Brigida, ed il Papa della Conciliazione ne provò vivo compiacimento. Bibliotheca Sanctorum, vol. III, p. 494.
[6] PL. 147 - (anno 1256).
[7] «Victura dum erunt homines Roma».
[8] «Quando cadet Colosseum, cadet Roma; quando cadet et Roma, cadet et mundus. Quamdius stabit Colosseum, stabit et Roma».


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