IL MISTERO DI ROMA
CAPO XVI
L'UNITA' ROMANA
NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO
1. - Quell'istintivo presagio che ebbero i romani sul destino della loro città a ridurre il mondo ad unità fu visto anche, ma in sfera più sublime e più vasta, dalle generazioni che si andavano formando nella luce della religione cristiana. Sotto questa luce divina, Roma fu vista dai cristiani come la città preparata da Dio ad essere il centro unificatore e direttivo della religione di Cristo.
Prima d'ogni altro documento è opportuno riportare qui le solenni affermazioni del grande Pontefice S. Leone Magno, eletto Papa nel 440, il quale in un magniloquente sermone per la festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo[1], così proclamava l'alto destino di Roma: «Affinché l'ineffabile grazia della Redenzione si diffondesse per tutto il mondo, la Provvidenza divina preparò l'impero romano, che di tutti i popoli formò una sola grande famiglia ravvicinata ed unita... affinché la predicazione dell'umano riscatto rapidamente si diffondesse in mezzo ai popoli governati da una sola città». E più sotto aggiunge: «Il Beatissimo Pietro principe del Collegio Apostolico fu destinato all'arce del Romano Impero, affinché la luce rivelata per la salvezza di tutte le genti, dal centro stesso più efficacemente si diffondesse per tutto il corpo». Ed in un impeto oratorio il grande Pontefice si rivolge a Roma e le dice: «o Roma, gli Apostoli Pietro e Paolo, questi sono gli eroi che ti innalzarono alla gloria di città santa, di popolo eletto, di città sacerdotale e regale, per modo che divenuta in virtù della sacra sede del B. Pietro, veramente capo del mondo, estendi il tuo impero con la religione divina più che non l'estendesti con la dominazione umana. Sebbene infatti, resa potente dalle molte vittorie, affermassi per terra e per mare il diritto all'impero; tuttavia, quello che le tue belliche imprese ti assoggettarono, è meno di quello che ti sottomise la pace cristiana».
2. - Orbene questi pensieri, espressi così efficacemente e nobilmente dal grande Pontefice, sono comuni a tutti i pensatori e scrittori cristiani che furono sia prima che dopo di lui. Tutti costoro avevano sotto gli occhi quella Roma pagana, la quale era in opposizione con la Roma cristiana, che si andava formando, malgrado le frequenti e feroci persecuzioni che doveva da quella subire. Era la lotta dei falsi dei contro il vero Dio.
Ma in Roma non tutto era paganesimo ed idolatria. Vi era la Roma con l'unità romana del mondo; la Roma con la pace romana tra i popoli; la Roma col saggio ordinamento politico e amministrativo dello stato; con il suo sapiente codice di leggi; con una sua tradizione di civile prudenza e fortezza; con le meraviglie del suo genio costruttivo e pratico; con un popolo civile e fondamentalmente sano e religioso; con una lingua organica armoniosa e solenne, la cui romana dignità si riflette quasi plasticamente nelle iscrizioni marmoree, che glorificano i fasti della storia dell'Urbe. Infatti fra tutti i tipi di alfabeto inventati dall'uomo non ve n'è alcuno più semplice, elegante e solenne del lapidario romano, degno di tramandare la gloria di Roma nei secoli.
E tutte queste meravigliose doti sono come riassunte nell'augusta maestà del nome di Roma. Questo attributo di maestà congiunto al nome di Roma, è assai frequente negli scrittori; tanta era l'estimazione diffusa tra i popoli per l'Urbe, rispettata, amata, temuta dentro e fuori i confini del suo impero.
3. - Orbene tutte queste cose buone, belle e grandi di Roma, Dio le destinava alla sua Chiesa come ereditiera di Roma; e la Chiesa le faceva sue, elevandole e sublimandole dal piano umano al piano divino; trasformando Roma da città degli dei a città di Dio, da centro e capitale d'un impero terreno e limitato, a centro e capitale d'un impero spirituale e senza limiti.
Perciò S. Prospero d'Aquitania poteva scrivere il luminoso verso: «Tutto quello che Roma non sottomise con le armi, lo possiede con la religione» [2].
Tertulliano, geniale apologista cristiano di Cartagine, ad esprimere la funzione di Roma anche in relazione alla religione di Cristo, coniò per primo il vocabolo di Romanitas: Romanità. Glorioso vocabolo che doveva ereditare la Chiesa Cattolica come maestoso paludamento d'inconfondibile distinzione, da ogni altra chiesa di nominanza cristiana.
Egli scrive: «La romanità è salvezza universale» [3].
E quindi riferendo l'intima disposizione dei credenti in Cristo dice: «Noi preghiamo per tutti gli imperatori (visse sotto Marco Aurelio e Settimio Severo), implorando per loro lunga vita, sicuro imperio, custodita la casa, forti gli eserciti, fedele il senato, onesto il popolo, tranquillo il mondo». Per questa salvezza del mondo attestava che tutti i credenti auguravano stabilità perenne della romanità[4].
In questa romanità tutti i popoli, anche non romani, come dice S. Paolino da Nola, potranno conoscere rettamente Cristo: «I barbari imparano ad inneggiare a Cristo con cuore romano» [5].
S. Ambrogio, il grande Vescovo di Milano, (340-397), così afferma la missione di Roma: «Dio estese a tutto il mondo il potere dell'impero romano, affinché tutti gli uomini vivendo sotto lo stesso impero, unico ed universale, imparassero a confessare fedelmente l'impero dell'unico onnipotente Dio».
S. Agostino, uno dei più grandi geni apparsi nel mondo (354-430), di fronte a Roma diventata sintesi del mondo civile, trattò profondamente nella sua opera monumentale De Civitate Dei il grande problema della storia umana. Il suo pensiero può essere riassunto in queste affermazioni raccolte nel libro V della sua opera. Fu la Provvidenza, che volle il mondo sotto un unico impero; e questo impero fu dato ai romani in premio delle loro grandi virtù civili; ma esso fu stabilito in servizio dell'impero di Cristo per la costruzione della città di Dio.
Lo spagnolo Prudenzio pone sulle labbra del martire romano S. Lorenzo un'ultima preghiera, nella quale il grande eroe, dopo aver ringraziato Dio che Roma avesse unificato genti, costumi, leggi e ingegni, pregava che la stessa Roma compisse il suo destino col dare al mondo una unità più profonda sotto la legge cristiana[6].
S. Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli(347-407), commentando l'epistola ai Romani e mettendo in giusta armonia e subordinazione le due romanità, scrive: «Potrei celebrare Roma per la sua antichità, grandezza, potenza, bellezza, ma io l'amo e l'esalto soprattutto per un titolo nuovo e più grande, per le due luci meravigliose che risplendono dalle tombe di Pietro e Paolo, per cui la città dei romani vince in terra lo splendore che il sole spande nel cielo».
4. - Si potrebbero qui riportare innumere altre testimonianze, ma quelle poche addotte sono sufficienti a dimostrare come fosse persuasione comune alla cristianità primitiva che Roma fosse stata plasmata dalla Provvidenza divina, perché preparasse la pienezza dei tempi per la venuta del Figlio di Dio sulla terra, e fornisse gli elementi umani, coi quali la Chiesa di Cristo potesse convenientemente costruirsi la sua terrestre dimora.
E la Chiesa fece suoi questi elementi umani di Roma, come di ottimo materiale per la sua esterna organizzazione, in quello che si riferiva all'ordinamento del regime ecclesiale, alla vita sociale del popolo cristiano, all'estrinsecazione dignitosa del culto, alle manifestazioni civili, culturali, artistiche, consone alla santità delle leggi divine.
Basti qui riportare l'esempio del grande Pontefice S. Gregorio Magno (590-604), il quale contro la disgregazione della cristianità, fomentata dalle serpeggianti eresie, dalle tendenze scismatiche dell'Oriente, dalle prepotenze barbariche, dai disordini civili ed economici, oppose un forte carattere di romanità per salvaguardare l'unità, l'ordine, la dignità della vita religiosa e civile del popolo cristiano; perciò fu salutato Console di Dio, come se egli continuasse la gloriosa tradizione romana di quei consoli che edificarono la grandezza di Roma.
S.Patrizio (sec. V), l'apostolo dell'Irlanda, l'isola del mare del Nord sulla quale mai Roma aveva esteso il suo impero, dopo aver convertito quelle popolazioni a Cristo, intima loro: «Ora che siete cristiani, siate anche romani!». Con questo precetto dato ai novelli convertiti, S.Patrizio indicava loro che la romanità era la grande sicura garanzia della genuinità ed integrità della fede cristiana [7].
*****
[1] S. LEONE MAGNO, Sermo 82, "In Natali apostolorum Petri et Pauli"; PL. 54, 423.
[2] «Quidquid non possidet armis, religione tenet»; PROSPERO DI AQUITANIA, Cannen de ingratis, 52.
[3] «Romanitas omni salus»; TERTULLIANO, De Pallio, 4,1.
[4] «Romanae diutumitati favemus»; TERTULLIANO, Apologeticum 32,1.
[5] «Barbari discunt resonare Christum corde romano» ; PAOLINO DI NOLA, Poema 17,262.
[6] PRUDENZIO, Liber Peristephanon, 2,413+; PL. 60,322-323.
[7] Fedeli al monito del loro apostolo, gli Irlandesi furono sempre con l'anima rivolta a Roma, e così mantennero saldamente la loro fede malgrado le feroci repressioni dell'anglicanesimo; e la loro isola meritò l'appellativo di Isola dei Santi. Nel sec. XIX DANIELE O'CONNEL il vindice della libertà dell'Irlanda, dispose per testamento che il suo cuore fosse sepolto a Roma. Nella chiesa nazionale irlandese in onore di S. Patrizio in Via Buoncompagni, nel catino dell'abside, a lettere d'oro è riportato il comando da lui dato agli irlandesi: Ut christiani, ira et Romani sitis.
Prima d'ogni altro documento è opportuno riportare qui le solenni affermazioni del grande Pontefice S. Leone Magno, eletto Papa nel 440, il quale in un magniloquente sermone per la festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo[1], così proclamava l'alto destino di Roma: «Affinché l'ineffabile grazia della Redenzione si diffondesse per tutto il mondo, la Provvidenza divina preparò l'impero romano, che di tutti i popoli formò una sola grande famiglia ravvicinata ed unita... affinché la predicazione dell'umano riscatto rapidamente si diffondesse in mezzo ai popoli governati da una sola città». E più sotto aggiunge: «Il Beatissimo Pietro principe del Collegio Apostolico fu destinato all'arce del Romano Impero, affinché la luce rivelata per la salvezza di tutte le genti, dal centro stesso più efficacemente si diffondesse per tutto il corpo». Ed in un impeto oratorio il grande Pontefice si rivolge a Roma e le dice: «o Roma, gli Apostoli Pietro e Paolo, questi sono gli eroi che ti innalzarono alla gloria di città santa, di popolo eletto, di città sacerdotale e regale, per modo che divenuta in virtù della sacra sede del B. Pietro, veramente capo del mondo, estendi il tuo impero con la religione divina più che non l'estendesti con la dominazione umana. Sebbene infatti, resa potente dalle molte vittorie, affermassi per terra e per mare il diritto all'impero; tuttavia, quello che le tue belliche imprese ti assoggettarono, è meno di quello che ti sottomise la pace cristiana».
2. - Orbene questi pensieri, espressi così efficacemente e nobilmente dal grande Pontefice, sono comuni a tutti i pensatori e scrittori cristiani che furono sia prima che dopo di lui. Tutti costoro avevano sotto gli occhi quella Roma pagana, la quale era in opposizione con la Roma cristiana, che si andava formando, malgrado le frequenti e feroci persecuzioni che doveva da quella subire. Era la lotta dei falsi dei contro il vero Dio.
Ma in Roma non tutto era paganesimo ed idolatria. Vi era la Roma con l'unità romana del mondo; la Roma con la pace romana tra i popoli; la Roma col saggio ordinamento politico e amministrativo dello stato; con il suo sapiente codice di leggi; con una sua tradizione di civile prudenza e fortezza; con le meraviglie del suo genio costruttivo e pratico; con un popolo civile e fondamentalmente sano e religioso; con una lingua organica armoniosa e solenne, la cui romana dignità si riflette quasi plasticamente nelle iscrizioni marmoree, che glorificano i fasti della storia dell'Urbe. Infatti fra tutti i tipi di alfabeto inventati dall'uomo non ve n'è alcuno più semplice, elegante e solenne del lapidario romano, degno di tramandare la gloria di Roma nei secoli.
E tutte queste meravigliose doti sono come riassunte nell'augusta maestà del nome di Roma. Questo attributo di maestà congiunto al nome di Roma, è assai frequente negli scrittori; tanta era l'estimazione diffusa tra i popoli per l'Urbe, rispettata, amata, temuta dentro e fuori i confini del suo impero.
3. - Orbene tutte queste cose buone, belle e grandi di Roma, Dio le destinava alla sua Chiesa come ereditiera di Roma; e la Chiesa le faceva sue, elevandole e sublimandole dal piano umano al piano divino; trasformando Roma da città degli dei a città di Dio, da centro e capitale d'un impero terreno e limitato, a centro e capitale d'un impero spirituale e senza limiti.
Perciò S. Prospero d'Aquitania poteva scrivere il luminoso verso: «Tutto quello che Roma non sottomise con le armi, lo possiede con la religione» [2].
Tertulliano, geniale apologista cristiano di Cartagine, ad esprimere la funzione di Roma anche in relazione alla religione di Cristo, coniò per primo il vocabolo di Romanitas: Romanità. Glorioso vocabolo che doveva ereditare la Chiesa Cattolica come maestoso paludamento d'inconfondibile distinzione, da ogni altra chiesa di nominanza cristiana.
Egli scrive: «La romanità è salvezza universale» [3].
E quindi riferendo l'intima disposizione dei credenti in Cristo dice: «Noi preghiamo per tutti gli imperatori (visse sotto Marco Aurelio e Settimio Severo), implorando per loro lunga vita, sicuro imperio, custodita la casa, forti gli eserciti, fedele il senato, onesto il popolo, tranquillo il mondo». Per questa salvezza del mondo attestava che tutti i credenti auguravano stabilità perenne della romanità[4].
In questa romanità tutti i popoli, anche non romani, come dice S. Paolino da Nola, potranno conoscere rettamente Cristo: «I barbari imparano ad inneggiare a Cristo con cuore romano» [5].
S. Ambrogio, il grande Vescovo di Milano, (340-397), così afferma la missione di Roma: «Dio estese a tutto il mondo il potere dell'impero romano, affinché tutti gli uomini vivendo sotto lo stesso impero, unico ed universale, imparassero a confessare fedelmente l'impero dell'unico onnipotente Dio».
S. Agostino, uno dei più grandi geni apparsi nel mondo (354-430), di fronte a Roma diventata sintesi del mondo civile, trattò profondamente nella sua opera monumentale De Civitate Dei il grande problema della storia umana. Il suo pensiero può essere riassunto in queste affermazioni raccolte nel libro V della sua opera. Fu la Provvidenza, che volle il mondo sotto un unico impero; e questo impero fu dato ai romani in premio delle loro grandi virtù civili; ma esso fu stabilito in servizio dell'impero di Cristo per la costruzione della città di Dio.
Lo spagnolo Prudenzio pone sulle labbra del martire romano S. Lorenzo un'ultima preghiera, nella quale il grande eroe, dopo aver ringraziato Dio che Roma avesse unificato genti, costumi, leggi e ingegni, pregava che la stessa Roma compisse il suo destino col dare al mondo una unità più profonda sotto la legge cristiana[6].
S. Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli(347-407), commentando l'epistola ai Romani e mettendo in giusta armonia e subordinazione le due romanità, scrive: «Potrei celebrare Roma per la sua antichità, grandezza, potenza, bellezza, ma io l'amo e l'esalto soprattutto per un titolo nuovo e più grande, per le due luci meravigliose che risplendono dalle tombe di Pietro e Paolo, per cui la città dei romani vince in terra lo splendore che il sole spande nel cielo».
4. - Si potrebbero qui riportare innumere altre testimonianze, ma quelle poche addotte sono sufficienti a dimostrare come fosse persuasione comune alla cristianità primitiva che Roma fosse stata plasmata dalla Provvidenza divina, perché preparasse la pienezza dei tempi per la venuta del Figlio di Dio sulla terra, e fornisse gli elementi umani, coi quali la Chiesa di Cristo potesse convenientemente costruirsi la sua terrestre dimora.
E la Chiesa fece suoi questi elementi umani di Roma, come di ottimo materiale per la sua esterna organizzazione, in quello che si riferiva all'ordinamento del regime ecclesiale, alla vita sociale del popolo cristiano, all'estrinsecazione dignitosa del culto, alle manifestazioni civili, culturali, artistiche, consone alla santità delle leggi divine.
Basti qui riportare l'esempio del grande Pontefice S. Gregorio Magno (590-604), il quale contro la disgregazione della cristianità, fomentata dalle serpeggianti eresie, dalle tendenze scismatiche dell'Oriente, dalle prepotenze barbariche, dai disordini civili ed economici, oppose un forte carattere di romanità per salvaguardare l'unità, l'ordine, la dignità della vita religiosa e civile del popolo cristiano; perciò fu salutato Console di Dio, come se egli continuasse la gloriosa tradizione romana di quei consoli che edificarono la grandezza di Roma.
S.Patrizio (sec. V), l'apostolo dell'Irlanda, l'isola del mare del Nord sulla quale mai Roma aveva esteso il suo impero, dopo aver convertito quelle popolazioni a Cristo, intima loro: «Ora che siete cristiani, siate anche romani!». Con questo precetto dato ai novelli convertiti, S.Patrizio indicava loro che la romanità era la grande sicura garanzia della genuinità ed integrità della fede cristiana [7].
*****
[1] S. LEONE MAGNO, Sermo 82, "In Natali apostolorum Petri et Pauli"; PL. 54, 423.
[2] «Quidquid non possidet armis, religione tenet»; PROSPERO DI AQUITANIA, Cannen de ingratis, 52.
[3] «Romanitas omni salus»; TERTULLIANO, De Pallio, 4,1.
[4] «Romanae diutumitati favemus»; TERTULLIANO, Apologeticum 32,1.
[5] «Barbari discunt resonare Christum corde romano» ; PAOLINO DI NOLA, Poema 17,262.
[6] PRUDENZIO, Liber Peristephanon, 2,413+; PL. 60,322-323.
[7] Fedeli al monito del loro apostolo, gli Irlandesi furono sempre con l'anima rivolta a Roma, e così mantennero saldamente la loro fede malgrado le feroci repressioni dell'anglicanesimo; e la loro isola meritò l'appellativo di Isola dei Santi. Nel sec. XIX DANIELE O'CONNEL il vindice della libertà dell'Irlanda, dispose per testamento che il suo cuore fosse sepolto a Roma. Nella chiesa nazionale irlandese in onore di S. Patrizio in Via Buoncompagni, nel catino dell'abside, a lettere d'oro è riportato il comando da lui dato agli irlandesi: Ut christiani, ira et Romani sitis.