IL MISTERO DI ROMA
CAPO VI
I CONTINUATORI DELL'UNITA'
1. - Nel Vangelo si riferiscono le meschine gare d'ambizione, spesso accese tra i dodici Apostoli per stabilire, chi sarebbe il primo nel futuro regno messianico; disputa ripetuta perfino all'ultima cena. Giacomo e Giovanni, anzi tramite la loro madre Maria Salome, chiesero senza altro al Divin Maestro il privilegio di sedere uno alla destra ed uno alla sinistra nel suo regno, occupare cioè i seggi più onorifici. Domanda che provocò una reazione di lamentele da parte degli altri Apostoli.
Orbene dopo l'Ascensione di Gesù, fu Pietro che prese in mano il governo del piccolo gruppo di seguaci, che Gesù aveva lasciato su la terra. Non ci furono contrasti di preminenza, non ci fu un consiglio convocato per eleggere un capo, un presidente; ma senza altro Pietro entrò subito in azione come capo di tutti, e tutti senza la minima resistenza riconobbero Pietro come colui che Gesù aveva lasciato come suo Vicario in terra.
2. - Dopo la dimora in Gerusalemme ed un'altra in Antiochia, Pietro va a Roma. Gli Atti non ci parlano d'una positiva parola di Gesù a Pietro di andare a Roma, come si legge per Paolo, ma è certo che se anche non ci fu una rivelazione positiva, ci fu una ispirazione divina, che spinse Pietro a porre definitiva mente la sua sede nel centro dell'impero Romano.
Questo fatto era di capitale importanza per la vita della Chiesa, perché non si debba vedere in esso un intervento divino. Dal fatto che Pietro abbia scelto Roma come sua definitiva dimora, ne conseguiva che Roma diveniva la sede del suo episcopato, e quindi il centro di governo della Chiesa di Cristo; e ne conseguiva ancora che colui che sarebbe successo a Pietro, nell'episcopato romano, sarebbe successo ancora nell 'ufficio di Pastore Supremo.
Gli avversari della Chiesa Cattolica non hanno lasciato nulla d'intentato per demolire questo punto capitale della sua costituzione, cioè la successione dei vescovi di Roma nel supremo compito, che Cristo affidò a Pietro.
In un primo tempo si sforzarono a provare che Pietro non aveva mai soggiornato a Roma, e neanche vi era morto. Ma di fronte alla valanga di prove fornite da testimonianze di scrittori contemporanei o di poco posteriori, dai molteplici reperti archeologici e specialmente dall'esistenza del sepolcro sul colle Vaticano; dalla tradizione antica e costante di tutte le chiese cristiane, anche di quelle che si separarono da Roma; dalla testimonianza di Pietro stesso nella sua prima lettera, scritta da Roma, chiamata da lui simbolicamente Babilonia, gli avversari hanno cessato d'insistere su la loro negazione.
Battuti su questo terreno storico, hanno ripiegato sul campo teologico affermando che le prerogative di Pietro erano poteri personali, conferiti a lui per l'organizzazione della Chiesa nei suoi primordi, e perciò non erano trasmissibili per successione, ma dovevano decadere con la morte di Pietro. È questa la tesi del protestante O.Cullmann nella sua opera: S. Pietro Discepolo, Apostolo, Martire. Ma è una tesi insostenibile, una affermazione senza reale fondamento.
3. - Se Cristo ha fondato una Chiesa, ossia una società di uomini destinata a formare di tutti un solo ovile sotto un solo pastore, così stabile da durare fino alla consumazione dei secoli, così universale da estendersi a tutte le regioni della terra; ha anche voluto ch'ella conservasse immutabile la struttura gerarchica che le aveva dato. Prima di ascendere al Cielo Gesù aveva detto ai suoi discepoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque per tutto il mondo e ammaestrate tutte le genti... Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). La Chiesa di Cristo dunque nella forma e nell' organizzazione, che Egli le ha dato, dovrà perdurare per la salvezza degli uomini fino alla fine dei secoli. Orbene fu agli apostoli ed alloro capo Pietro, che Gesù affidò il compito di estendere e governare la Chiesa sino alla fine del mondo. Quindi come ci dovevano essere i successori degli apostoli, i vescovi; così ci doveva essere il successore del capo degli apostoli. Non era possibile che la Chiesa, la società più organizzata all'unità, rimanesse senza il suo supremo reggitore; sarebbe stato un corpo senza capo.
4. - Bossuet, malgrado i suoi princìpi gallicani, costretto dall'evidenza scrive: «Nostro Signore Gesù Cristo, volendo formare il mistero dell'unità, scelse dal numero dei suoi discepoli dodici apostoli, ed a rendere perfetto il mistero dell'unità, tra i dodici apostoli scelse Pietro per costituirlo unico capo non solo del gregge, ma anche dei pastori, affinché la Chiesa che è una nel suo stato invisibile col suo Capo invisibile Gesù Cristo, fosse anche una nell'ordine visibile della sua esistenza col capo visibile Pietro, e con colui che sarebbe succeduto a Pietro nel corso dei secoli. Così il mistero dell'unità universale della Chiesa risiede nella Chiesa Romana... Fu dunque per consumare il mistero di questa unità, che S. Pietro con la sua predicazione e col suo sangue ha fondato la Chiesa Romana, come tutta l'antichità l'ha riconosciuto... Dio aveva stabilito, che Roma da capitale della gentilità si trasformasse in capitale della cristianità... Che Roma la sede dell'impero politico, che teneva riuniti tanti popoli, diventasse la sede dell'impero spirituale, e che tenesse riuniti tutti i popoli dall'oriente all'occidente» [1].
5. - Tutta l'antichità ci attesta la legittima successione dei Pontefici romani nel primato di Pietro. A Pietro successe Lino, a Lino successe Anacleto, ad Anacleto Clemente, e così di seguito fino al vivente Paolo VI, 263° successore di Pietro.
E questa attestazione dei secoli nel riconoscere nel Pontefice Romano il legittimo successore di Pietro nel primato, ci arriva da tutte le regioni, ove si era diffusa la religione di Cristo. Ricordo qui solo tre nomi illustri dei tre continenti allora conosciuti. Dall'Asia S. Ignazio martire nell'anno 130, vescovo di Antiochia; dall'Europa S. Ireneo vescovo martire di Lione nelle Gallie nel 202; dall' Africa S. Cipriano vescovo di Cartagine martire nel 258. E tutti e tre attestano la permanenza del primato di Pietro nel Pontefice Romano.
Voglio però qui riportare alcune eloquenti parole, che il grande Pontefice S. Leone Magno disse nell'omelia pronunziata nel secondo anniversario della sua elevazione alla cattedra di Pietro: «Si celebri, o miei dilettissimi, con ragionevole ossequio l'odierna festività, affinché nella mia povera persona quegli si rammemori, quegli si onori, nel quale permane la cura di tutti i pastori e la custodia di tutte le pecorelle a lui affidate; e la cui dignità non viene meno neanche in un indegno erede». Questo grande Pontefice con una sua lettera letta al IV Concilio ecumenico adunato a Calcedonia l'anno 451, condannava l'errore di Eutiche, e definiva la retta fede da professarsi nella Chiesa. Alla lettura di quel solenne documento tutti i vescovi del Concilio gridarono ad una voce: «Per bocca di Leone ha parlato Pietro».
6. - Queste testimonianze e molte altre che si potrebbero addurre dai primi secoli della Chiesa, come pure i numerosi fatti, nei quali i Pontefici Romani sin d'allora con autorità intervennero per dirimere definitivamente questioni di fede, di morale e di disciplina, sorte in qualunque parte del mondo, stanno a dimostrare come i vescovi di Roma sono realmente i successori di Pietro, eredi della potestà suprema conferita a lui da Cristo. Questo duplice fatto che cioè Pietro ha trasmesso il suo primato ai suoi successori, e i suoi successori sono i vescovi di Roma, è stato sancito come dogma di fede dal Concilio Vaticano I: «Se alcuno dunque dirà non essere istituzione dello stesso Cristo Signore, ossia di diritto divino, che il B. Pietro nel primato sopra la Chiesa Universale abbia perpetui successori, o che il Romano Pontefice non sia il successore del B. Pietro nel primato, sia anatema» [2].
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[1] BOSSUET, IV Lettre à une demoiselle de Metz.
[2] CONCILIO VATICANO I, Pastor Aeternus, Cap.2 (canone); Denzinger 3058.
Orbene dopo l'Ascensione di Gesù, fu Pietro che prese in mano il governo del piccolo gruppo di seguaci, che Gesù aveva lasciato su la terra. Non ci furono contrasti di preminenza, non ci fu un consiglio convocato per eleggere un capo, un presidente; ma senza altro Pietro entrò subito in azione come capo di tutti, e tutti senza la minima resistenza riconobbero Pietro come colui che Gesù aveva lasciato come suo Vicario in terra.
2. - Dopo la dimora in Gerusalemme ed un'altra in Antiochia, Pietro va a Roma. Gli Atti non ci parlano d'una positiva parola di Gesù a Pietro di andare a Roma, come si legge per Paolo, ma è certo che se anche non ci fu una rivelazione positiva, ci fu una ispirazione divina, che spinse Pietro a porre definitiva mente la sua sede nel centro dell'impero Romano.
Questo fatto era di capitale importanza per la vita della Chiesa, perché non si debba vedere in esso un intervento divino. Dal fatto che Pietro abbia scelto Roma come sua definitiva dimora, ne conseguiva che Roma diveniva la sede del suo episcopato, e quindi il centro di governo della Chiesa di Cristo; e ne conseguiva ancora che colui che sarebbe successo a Pietro, nell'episcopato romano, sarebbe successo ancora nell 'ufficio di Pastore Supremo.
Gli avversari della Chiesa Cattolica non hanno lasciato nulla d'intentato per demolire questo punto capitale della sua costituzione, cioè la successione dei vescovi di Roma nel supremo compito, che Cristo affidò a Pietro.
In un primo tempo si sforzarono a provare che Pietro non aveva mai soggiornato a Roma, e neanche vi era morto. Ma di fronte alla valanga di prove fornite da testimonianze di scrittori contemporanei o di poco posteriori, dai molteplici reperti archeologici e specialmente dall'esistenza del sepolcro sul colle Vaticano; dalla tradizione antica e costante di tutte le chiese cristiane, anche di quelle che si separarono da Roma; dalla testimonianza di Pietro stesso nella sua prima lettera, scritta da Roma, chiamata da lui simbolicamente Babilonia, gli avversari hanno cessato d'insistere su la loro negazione.
Battuti su questo terreno storico, hanno ripiegato sul campo teologico affermando che le prerogative di Pietro erano poteri personali, conferiti a lui per l'organizzazione della Chiesa nei suoi primordi, e perciò non erano trasmissibili per successione, ma dovevano decadere con la morte di Pietro. È questa la tesi del protestante O.Cullmann nella sua opera: S. Pietro Discepolo, Apostolo, Martire. Ma è una tesi insostenibile, una affermazione senza reale fondamento.
3. - Se Cristo ha fondato una Chiesa, ossia una società di uomini destinata a formare di tutti un solo ovile sotto un solo pastore, così stabile da durare fino alla consumazione dei secoli, così universale da estendersi a tutte le regioni della terra; ha anche voluto ch'ella conservasse immutabile la struttura gerarchica che le aveva dato. Prima di ascendere al Cielo Gesù aveva detto ai suoi discepoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque per tutto il mondo e ammaestrate tutte le genti... Ed ecco che io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,18-20). La Chiesa di Cristo dunque nella forma e nell' organizzazione, che Egli le ha dato, dovrà perdurare per la salvezza degli uomini fino alla fine dei secoli. Orbene fu agli apostoli ed alloro capo Pietro, che Gesù affidò il compito di estendere e governare la Chiesa sino alla fine del mondo. Quindi come ci dovevano essere i successori degli apostoli, i vescovi; così ci doveva essere il successore del capo degli apostoli. Non era possibile che la Chiesa, la società più organizzata all'unità, rimanesse senza il suo supremo reggitore; sarebbe stato un corpo senza capo.
4. - Bossuet, malgrado i suoi princìpi gallicani, costretto dall'evidenza scrive: «Nostro Signore Gesù Cristo, volendo formare il mistero dell'unità, scelse dal numero dei suoi discepoli dodici apostoli, ed a rendere perfetto il mistero dell'unità, tra i dodici apostoli scelse Pietro per costituirlo unico capo non solo del gregge, ma anche dei pastori, affinché la Chiesa che è una nel suo stato invisibile col suo Capo invisibile Gesù Cristo, fosse anche una nell'ordine visibile della sua esistenza col capo visibile Pietro, e con colui che sarebbe succeduto a Pietro nel corso dei secoli. Così il mistero dell'unità universale della Chiesa risiede nella Chiesa Romana... Fu dunque per consumare il mistero di questa unità, che S. Pietro con la sua predicazione e col suo sangue ha fondato la Chiesa Romana, come tutta l'antichità l'ha riconosciuto... Dio aveva stabilito, che Roma da capitale della gentilità si trasformasse in capitale della cristianità... Che Roma la sede dell'impero politico, che teneva riuniti tanti popoli, diventasse la sede dell'impero spirituale, e che tenesse riuniti tutti i popoli dall'oriente all'occidente» [1].
5. - Tutta l'antichità ci attesta la legittima successione dei Pontefici romani nel primato di Pietro. A Pietro successe Lino, a Lino successe Anacleto, ad Anacleto Clemente, e così di seguito fino al vivente Paolo VI, 263° successore di Pietro.
E questa attestazione dei secoli nel riconoscere nel Pontefice Romano il legittimo successore di Pietro nel primato, ci arriva da tutte le regioni, ove si era diffusa la religione di Cristo. Ricordo qui solo tre nomi illustri dei tre continenti allora conosciuti. Dall'Asia S. Ignazio martire nell'anno 130, vescovo di Antiochia; dall'Europa S. Ireneo vescovo martire di Lione nelle Gallie nel 202; dall' Africa S. Cipriano vescovo di Cartagine martire nel 258. E tutti e tre attestano la permanenza del primato di Pietro nel Pontefice Romano.
Voglio però qui riportare alcune eloquenti parole, che il grande Pontefice S. Leone Magno disse nell'omelia pronunziata nel secondo anniversario della sua elevazione alla cattedra di Pietro: «Si celebri, o miei dilettissimi, con ragionevole ossequio l'odierna festività, affinché nella mia povera persona quegli si rammemori, quegli si onori, nel quale permane la cura di tutti i pastori e la custodia di tutte le pecorelle a lui affidate; e la cui dignità non viene meno neanche in un indegno erede». Questo grande Pontefice con una sua lettera letta al IV Concilio ecumenico adunato a Calcedonia l'anno 451, condannava l'errore di Eutiche, e definiva la retta fede da professarsi nella Chiesa. Alla lettura di quel solenne documento tutti i vescovi del Concilio gridarono ad una voce: «Per bocca di Leone ha parlato Pietro».
6. - Queste testimonianze e molte altre che si potrebbero addurre dai primi secoli della Chiesa, come pure i numerosi fatti, nei quali i Pontefici Romani sin d'allora con autorità intervennero per dirimere definitivamente questioni di fede, di morale e di disciplina, sorte in qualunque parte del mondo, stanno a dimostrare come i vescovi di Roma sono realmente i successori di Pietro, eredi della potestà suprema conferita a lui da Cristo. Questo duplice fatto che cioè Pietro ha trasmesso il suo primato ai suoi successori, e i suoi successori sono i vescovi di Roma, è stato sancito come dogma di fede dal Concilio Vaticano I: «Se alcuno dunque dirà non essere istituzione dello stesso Cristo Signore, ossia di diritto divino, che il B. Pietro nel primato sopra la Chiesa Universale abbia perpetui successori, o che il Romano Pontefice non sia il successore del B. Pietro nel primato, sia anatema» [2].
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[1] BOSSUET, IV Lettre à une demoiselle de Metz.
[2] CONCILIO VATICANO I, Pastor Aeternus, Cap.2 (canone); Denzinger 3058.